Il ministro Martina aveva annunciato un'inasprimento delle pene per i caporali e per i datori di lavoro, ma dopo un anno il provvedimento è ancora fermo in prima lettura al Senato e difficilmente vedrà la luce. Sindacati: "C'è ancora la possibilità di arrivare a una norma entro l'estate, basta volerlo"
Quella del 2016 rischia di essere un’altra estate senza diritti per chi lavora nei campi. Così stamattina a Bari si sono radunate più di 10mila persone, perlopiù braccianti che chiedono a gran voce di arrivare presto all’approvazione della legge contro il caporalato perché nella lentezza del Parlamento nelle campagne si continua a morire, in maniera invisibile. Sono 430mila i lavoratori vittime di caporalato e sfruttamento che alimenta un’economia illegale e sommersa nel settore che arriva a 17 miliardi di euro.
Solo l’estate scorsa sono morte nelle campagne italiane 13 persone a causa dello sfruttamento. Molti ricordano Paola, uccisa da un infarto mentre raccoglieva pomodori nella provincia di Andria per due euro l’ora. Nell’anno dell’Expo il ministro per le politiche Agricole, Maurizio Martina, aveva annunciato un’inasprimento delle pene per i caporali e per i datori di lavoro, ma a distanza di un anno il provvedimento è ancora fermo in prima lettura al Senato e difficilmente vedrà la luce.
“Siamo qui a dire di fare in fretta. E’ una legge importante. Superare anche il 2016 senza la legge vuol dire aspettare un altro anno, condannando migliaia di braccianti ad un’altra estate senza dignità” commenta dalla piazza Ivana Galli, segretaria generale della Flai – Cgil che insieme agli altri sindacati oggi hanno fortemente voluto questa manifestazione .
La scelta della Puglia per questa giornata di sciopero è tutt’altro che casuale. A spiegarlo è proprio la sindacalista della Flai “tre delle sette provincie a rischio indicate nel Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura “Cura-Legalità-Uscita dal ghetto” firmato al ministero dell’Interno sono pugliesi. A Nardò nel 2011 assistemmo al primo sciopero dei migranti. A Foggia esistono dei mega ghetti di braccianti, così come a Brindisi”. E poi verrebbe da ricordare che questa è la terra di Giuseppe Di Vittorio, il primo che si è battuto per i diritti dei braccianti agricoli, che qui è la storia stessa del sindacato, l’emblema di tutte le lotte operaie.
A rimpiangerlo sono proprio i lavoratori italiani che oggi sfilano tra le vie di Bari, accanto ai migranti di Rosarno e ai sikh del Pontino. Loretta è arrabbiata con la politica che protegge solo i padroni, ma in piazza ha scelto di esserci lo stesso, anche se a 60 anni la speranza che le cose cambino è sempre più sottile. “Ci vuole un altro Di Vittorio, anche se molti non sanno chi è – dice quasi urlando – Ufficialmente lavoro 8 ore, ma non sono mai meno di 11, senza pause, senza straordinario e senza contributi” e racconta che per essersi ribellata è rimasta senza lavoro tre anni, “poi ho dovuto dire che sarei stata zitta e avrei smesso di protestare, solo così ho potuto riprendere a lavorare”. Quanto guadagna? “4 euro l’ora e nella mia azienda siamo metà italiani e metà di colore, loro, poveretti guadagnano 2,5 euro l’ora”.
Ci vorrebbe un altro Di Vittorio, ma i sindacati si accontenterebbero anche che la legge vedesse finalmente la luce, che i controlli nelle aziende fossero seri e che chi viene scoperto nell’illegalità poi non avesse accesso ai fondi europei. “C’è ancora la possibilità di arrivare alla legge entro l’estate, basta volerlo” dicono unitari i sindacati Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil.