Certo che il mondo è strano forte. C’è un cantautore di grande qualità, uno che non solo scrive in una maniera davvero originale e piacevole (non sempre originalità e piacevolezza vanno d’accordo), ma che ha anche una voce molto bella, anche quella riconoscibile, come il suo stile, il che non guasta affatto. Insomma, c’è un cantautore di grande qualità. Uno che ha anche una certa età, superati i trenta, ma che fino a questo momento si è più che altro mosso in quel di Roma, la sua città natale. Non solo, è chiaro, ma a Roma è una specie di piccola leggenda, uno che riempie i locali, che ha un grande seguito. È uscito già con un primo album, per la Leave, la stessa per cui è uscito in passato Alessandro Mannarino, come lui celebrità in quel di Roma, voce e repertorio riconoscibile, poi successo anche altrove.
Insomma, una bella storia, di quelle che potrebbe cantare anche lui, volendo, che nelle sue canzoni mette storie, storiacce, immagini, metafore, esempi strampalati, usa le parole in modo proprio, tratteggiando una poetica a volte cupa, spesso cupa, ma anche ironica. Una poetica un po’ sporca, pure, perché sporca è la sua voce. Sporca e urlata, a dirla tutta, fatto che, anche perché le sue nuove canzoni si muovono sullo stesso terreno, lo ha fatto paragonare a Rino Gaetano, mica a uno di passaggio. La stessa urgenza da urlare. Gli stessi graffi da fare per difendersi, ma anche per attaccare. Rino Gaetano, questo il nome che ricorre se devi parlare di questo nuovo cantautore, gagliardo. Il suo nome in realtà è Artù, e già capisci che anche questa è una storia da mettere dentro una canzone, perché uno non è che si può davvero chiamare Artù, manco fosse frutto della fantasia di un creatore di leggende destinate a rimanere nei secoli.
No, lui si chiama Alessio Qualcosa; il qualcosa, in realtà, sta lì a nascondere il suo vero cognome, e il suo vero cognome rimane nascosto perché lui, che un po’ cupo evidentemente è proprio di carattere, ha scelto un nome d’arte proprio per nascondere quello vero, visto mai che la carriera da cantautore non funziona e tocca andare poi a trovarsi un nuovo lavoro. Artù è un cantautore di grande qualità, anzi, il cantauore di grande qualità di cui si è parlato fin qui e, proprio in queste settimane, ha tirato fuori il suo secondo album, primo con una major, dal titolo Tutto passa. Ecco, la canzone che da’ il titolo all’album, Tutto passa, è una ballata dolente e struggente, bellissima, che parla di come, nella vita, appunto, tutto passi. Una presa di coscienza della fallibilità dell’uomo, della sua finitezza. Niente di particolarmente ottimistico, magari, ma davvero struggente e bello.
Come sono struggenti e belle, e ironiche e graffianti, a volte anche rock’n’roll e ritmate, le canzoni che compongono questo lavoro. Dall’inziale Zitti, che parte con una tromba che intona il silenzio e prosegue parlando di come non sia sempre necessario parlare. Alla “manuchaoiana” o “clashiana” Tutti a scuola, davvero energica e galvanizzante. Poi c’è la sghemba, Dio quanto ci piace la parola sghemba, Roma d’estate, scelta come singolo, ma di singolo atipico si tratta. Una canzone che avrebbe potuto cantare Stefano Rosso, o Gabriella Ferri, ma che suona al tempo stesso classica e moderna, di quella modernità che solo la vita vera sa offrirci, a prescindere dai suoni che si scelgono per mettere in scena la rappresentazione della vita stessa. Tutto l’album, comunque, dieci canzoni, merita un ascolto attento, da Bene io sto male, titolo che dice già molto, se non tutto, alla “rinogaetaniana” Viola (questa è la sola canzone che giustifichi in realtà il paragone, sia messo agli atti), passando per Anna o Il circo se n’è andato. Un grande cantautore, un grande album.
E torniamo all’inizio di questo discorso, di come il mondo sia strano forte. Artù, grande etc etc un anno fa esatto era a Macerata, allo Sferisterio, finalista a Musicultura, manifestazione che segue e cura e premia i migliori artisti in circolazione, dove per circolazione si intende la musica d’autore. Anche in questi giorni, a Macerata, c’è Musicultura, medesima manifestazione, anno diverso. Per la cronaca, quest’anno meriterebbe di vincere Simone Cicconi, che proprio di Macerata è, con Simone si è incazzato, ma questo è andare off topic. Si diceva, un anno fa Artù era a Musicultura, luogo dove il suo essere grande cantautore etc etc è stato riconosciuto. Oggi Artù sarà al Coca Cola Summer Festival, organizzato da Maria De Filippi con Rtl 102.5.
In gara, con gente come Lelio Morra, Madh, Marianne Mirage, Ermal Meta e Irama. Intorno c’è quanto di peggio la musica italiana possa offrire, senza bisogno di far nomi, con l’aggravante che, tra i big in gara, c’è anche gente come Chiara Grispo o Il Pagante che, rispetto a un Ermal Meta o appunto a un Artù, non ha ancora fatto davvero nulla di rilevante. La speranza, ma la speranza vera, quella cui ci si aggrappa con i denti e con le unghie, perché si sa che dopo non c’è altro, è che Artù non si lasci contaminare da questo mondo. Che mentre sta lì, sul palco di Piazza del Popolo, continui a pensare a Musicultura, a Roma che puzza di vino, alle sue storie storte e cupe. Perché magari lui fatica a crederci, visto il suo innato pessimismo, ma è proprio in artisti come lui che riponiamo tutta la nostra speranza.