I destinatari sono single e famiglie in temporaneo disagio economico: una fascia sociale “a povertà relativa”, che non ha i requisiti per la presa in carico da parte dei servizi sociali ma neanche risorse sufficienti per cercare un appartamento sul libero mercato. Nei condomini spazi in comune per socializzare, laboratori e in alcuni casi progetti di accoglienza dei migranti
Fino a 2 mesi fa era un bed&breakfast. Oggi la palazzina di via Michelangelo 11, in pieno centro a Firenze, ospita 8 inquilini: 3 anziani soli, una donna con figlio appena maggiorenne, una coppia e un 22enne uscito da un’esperienza in comunità. Benvenuti nel Condominio delle opportunità: 3 piani con giardino, 6 camere matrimoniali con bagno, cucina comune, salotto e portierato sociale. E’ la prima palazzina dove si sperimenta il fenomeno del cohousing solidale nel capoluogo toscano. I destinatari del progetto sono single e famiglie con temporaneo disagio economico, ovvero quella fascia sociale “a povertà relativa”, che non ha i requisiti per una completa presa in carico da parte dei servizi sociali ma neanche risorse sufficienti per pagarsi un affitto sul libero mercato. Non sono previsti canoni, ma solo rimborsi mensili pro capite, a esclusiva copertura delle spese documentate. Il risparmio è notevole. “Il vantaggio economico è fortissimo – spiega Gabriele Danesi, presidente di Abitare Auser, l’associazione che gestisce il condominio – per non parlare dell’aspetto umano e delle ricadute sociali. Ma attenzione, non parliamo di assistenzialismo: l’obiettivo è il riscatto dei protagonisti”.
Quello di Firenze non è l’unico esempio: da Milano a Cagliari, da Roma a Catania, sono in crescita le esperienze di condivisione. Il fenomeno, nato in Danimarca intorno agli anni ’70, sta prendendo piede anche nel nostro Paese, dove del resto, più in generale, sta aumentando il numero di famiglie in affitto: secondo l’ultimo rapporto Confabitare negli ultimi tre anni le famiglie di inquilini sono salite di 625.000 unità, contro 11 milioni di famiglie proprietarie di immobili. La versione “solidale” del cohousing è appunto qualcosa di più: un’opportunità per persone con redditi bassi, non in grado di affrontare i costi di un affitto.
“L’obiettivo era ringiovanire il centro storico della città”. Ivano Corradetti ha 35 anni e nel dicembre del 2010 è stato il primo inquilino di Abitiamo Insieme Ascoli. Il programma di cohousing solidale ha puntato sulla valorizzazione del centro cittadino, affidando le case di un palazzo storico appena ristrutturato a giovani coppie con un reddito medio basso, in attesa di un alloggio pubblico o che non riuscivano a soddisfare i propri bisogni abitativi sul mercato. Si è partiti con 18 famiglie, nel palazzo di Corso di sotto 10. “Oggi gli edifici coinvolti nel progetto sono due, e le famiglie sono diventate 54”, spiega Corradetti. Le strutture sono affittate a un prezzo calmierato, con un contratto di 12 anni. “Il progetto è fondato sulla cultura della convivenza. Ci sono ampi spazi comuni, una sala polivalente da più di 100 posti dove si fanno corsi di creatività, lezioni di yoga, feste di compleanno e cene tra coinquilini”. Al piano inferiore c’è una ludoteca, dove dall’anno scorso gli inquilini si impegnano tutti i pomeriggi, dalle 15 alle 17, a far giocare i bambini. “In media tutte le coppie hanno avuto 1-2 figli durante questi primi 6 anni”, sorride Corradetti.
Il cohousing si fa largo anche a Milano. Come nel quartiere Greco: dopo 5 anni di lavori, lo scorso maggio, è stato inaugurato il Condominio solidale, con 15 ospiti. Il Consorzio Oikos ha ottenuto dalla Curia, per i prossimi 30 anni, la palazzina in via Carlo Conti 27, sotto forma di donazione modale del diritto di superficie. Il progetto è rivolto a persone con differenti situazioni di fragilità e disabilità. Al piano terra ci sono i laboratori culinari di M’ama Food, catering solidale gestito da donne rifugiate. Al primo piano un bilocale ospita adulti che hanno perso il lavoro, ma anche una famiglia Rom composta da 5 persone. In mansarda, lo spazio più grande, vivono persone con disabilità. “Non si tratta di esperienze residenziali definitive. Ognuna è legata ad un progetto specifico – commenta Francesco Abbà, presidente Oikos – Senza l’appoggio dei privati e delle associazioni, comunque, sarebbe stata davvero dura riuscirci”. L’idea di fondo resta chiara: “Le diversità devono non solo essere accolte, ma convivere ed essere valorizzate in una costante interazione con il territorio”.
All’ombra della Mole di Torino studenti, ricercatori, artisti e ragazze madri vivono insieme nella Residenza Luoghi Comuni: 24 alloggi e più di 60 inquilini, nel quartiere San Salvario. Il programma di cohousing solidale della Compagnia di San Paolo offre residenze temporanee fino a 18 mesi a prezzi calmierati per le categorie sociali in difficoltà. “Il nostro non è solo un condominio, ma una casa aperta al territorio – spiega Rosanna Rabezzana, del consorzio Oplà – È nostro compito seguire gli inquilini, accompagnarli e valorizzare le loro capacità”.
In alcuni casi poi il cohousing diventa un vero strumento di accoglienza. A Roma, tramite il programma Homefull di Integra, sono stati attivati percorsi di condivisione tra giovani migranti e anziani. “L’obiettivo è quello di continuare su questa strada. È nostra intenzione promuovere questo tipo di ospitalità”, commenta Laura Antonelli, dal programma Integra. “Ho trovato una famiglia qui in Italia – racconta Mari, 28 anni rifugiato proveniente dal Mali, che per 4 mesi ha vissuto insieme ad Ines, anziana vedova romana – Oggi, quando sono in difficoltà so di poter contare su di lei”.