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Genocidio armeni, Bergoglio sfida la diplomazia (esterna e interna)

Sdoganato definitivamente il termine “genocidio armeno” nel lessico papale. Francesco, nel suo primo viaggio nel Caucaso, non ha avuto né paura né difficoltà a usare il termine contestato dalla Turchia, dove utilizzarlo è reato, per definire il massacro avvenuto un secolo fa in Armenia per mano dell’Impero ottomano. Nel 2001 era stato san Giovanni Paolo II a usare per la prima volta quella espressione che 14 anni dopo Bergoglio aveva fatto propria scatenando le ire di Ankara che aveva ritirato immediatamente l’ambasciatore presso la Santa Sede. La riconciliazione tra la Turchia e il Vaticano avvenne soltanto un anno dopo il violento scontro diplomatico.

Nel suo viaggio in Armenia, il 14esimo del suo pontificato, Francesco ha sottolineato che “quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli“. Nell’incontro di preghiera per la pace, culmine della prima visita del Papa nel Caucaso, Bergoglio ha precisato che ricordare “questo immane e folle sterminio” “non è solo opportuno, è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori!”. Un invito rivolto in particolare alle giovani generazioni “a diventare costruttori di pace: non notai dello status quo, ma promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione. Dio benedica il vostro avvenire e conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh”. Bergoglio, infatti, già vede all’orizzonte il secondo viaggio che, compirà nel Caucaso, dal 30 settembre al 2 ottobre prossimi, in Georgia e Azerbaigian.

Immancabile anche questa volta, ma di gran lunga più attenuata, l’irritazione di Ankara con il vice primo ministro turco, Nurettin Canikli, che ha affermato che la scelta del Papa di parlare di genocidio dimostra una “mentalità da crociata”. Francesco, però, non ha adoperato soltanto la parola contestata, sfuggendo a qualsiasi forma di ipocrito revisionismo o, come ha sottolineato il Catholicos di tutti gli armeni, Karekin II, di “persistente negazionismo”. Bergoglio, tenendo fede al suo tratto distintivo, ha utilizzato i gesti per commemorare quella tragedia con la preghiera silenziosa al Tzitzernakaberd Memorial, sulla collina della rondini. Nel mausoleo circolare formato da dodici lastre di basalto inclinate, dal numero di province vittime del genocidio di un secolo fa, dove arde a cielo aperto la fiamma eterna, Francesco ha reso omaggio al milione e mezzo di armeni sterminati. Un gesto più eloquente di ogni parola da parte di un Papa che non ama essere strumentalizzato da nessuno, dentro e fuori la Chiesa cattolica, e non si lascia tirare la talare bianca né si piega a interessi politici.

È la libertà di Bergoglio, che si è vista nuovamente nel delicato viaggio in Armenia ricco di trappole politiche ed ecumeniche, con la quale ormai da tre anni e mezzo devono fare i conti i suoi oppositori curiali.