In questi giorni George Orwell, all’anagrafe Eric Arthur Blair, avrebbe compiuto 113 anni. In giorni di grande incertezza politica per la sua Inghilterra, lacerata tra l’ingannevole esaltazione di improbabili revanscismi e il lamento di prefiche che profilano scenari apocalittici, la sua lucidità rigorosa e lungimirante può ancora imporsi come una preziosa bussola intellettuale. L’8 giugno scorso è stato l’anniversario della sua opera più importante, il celeberrimo romanzo 1984, pubblicato nel 1949. Invece di affidarci ad una improvvisata commemorazione, abbiamo deciso per l’occasione di rileggere quel libro cruciale, che già aveva aperto la nostra mente da adolescenti, con gli inquietanti squarci premonitori della sua spietata riflessione sul potere.
Una breve descrizione del futuro immaginato da Orwell: la Terra è suddivisa in tre grandi potenze totalitarie, costantemente in guerra, allo scopo di controllare le masse. In Oceania, nella cui capitale Londra è ambientata l’azione, comanda il Socing, una dittatura onnisciente governata da il Grande Fratello: una figura quasi divina, mai incontrata da nessuno, che tiene costantemente sotto controllo la vita di tutti i cittadini attraverso telecamere presenti ovunque e tramite il controllo psichico operato dalla psicopolizia. La dittatura controlla anche il pensiero, dunque, e il linguaggio, attraverso il bispensiero, che impone come verità l’assurdo. Inquietante è notare come Orwell si sia ispirato ad avvenimenti storici già avvenuti.
Come pochi anni dopo, in Farhenheit 451, Ray Bradbury si riferirà ai roghi nazisti dei libri, qui è dichiarata l’ispirazione agli aspetti più deleteri del regime staliniano, oltre che ovviamente al nazismo appena sconfitto. Altrettanto noto è che l’autore scelse la data del titolo invertendo le ultime cifre dell’anno di composizione (’48), ottenendo così un’ambientazione in un futuro sufficientemente lontano per proiettarvi una visione irreale, ma comunque vicino nel tempo per una denuncia dei possibili sviluppi dei regimi contemporanei. L’impatto di 1984 sulla cultura popolare ha rari confronti, per la capillare influenza operata su figure diversissime, ma di elevata caratura in vari ambiti artistici.
Da Stephen King a Murakami, in letteratura, a George Lucas (nel suo primo film, L’uomo che fuggì dal futuro) e Terry Gilliam (Brazil si sarebbe dovuto chiamare 1984 ½) nel cinema (per tacere delle dirette trasposizione cinematografiche), alcune delle menti più brillanti del secondo dopoguerra si sono ispirate alla tremenda, ma plausibile, visione orwelliana. Nella musica, non possiamo non menzionare, tra le citazioni sparse in innumerevoli canzoni, come 1984 abbia ispirato l’inquieta immaginazione di David Bowie nel suo impegnativo concept album Diamond Dogs. Anche nell’ambito del fumetto, la messe è ricca e varia.
Citeremo solo tre opere in cui il romanzo è sicuramente tra le principali ispirazioni: V for Vendetta (partorito dal genio di Alan Moore per i disegni di David Lloyd), la maschera del cui protagonista, Guy Fawkes, è divenuta simbolo delle proteste antisistema in tutto il mondo; il reportage fumettistico Pyongyang (capitale del paese che più di tutti al mondo somiglia alla società ultratotalitaria dell’incubo orwelliano), in cui Guy Delisle reca il libro in regalo alla sua guida, seminando il panico; Golem di LRNZ, visione distopica dell’Italia del futuro che certo molto deve anche alle riflessioni di Aldous Huxley. Quest’ultimo fu dichiarato ispiratore di Orwell, in quanto autore dell’altro grande capolavoro di preveggenza sociologica del Novecento, Mondo Nuovo, ancora più profetico poiché pubblicato nel 1932, un anno prima dell’avvento al potere di Hitler.
Fu Huxley per primo a sottolineare il confronto fra i due libri, in Ritorno al Mondo Nuovo, un saggio del 1958, nel quale egli già evidenziava l’avverarsi di molte delle sue intuizioni visionarie nella società contemporanea. Accostare i due romanzi, nelle loro differenze, è ormai esercizio critico obbligatorio. Lasciamo la sintesi, impeccabile, proprio alle parole di Huxley: “La società descritta in 1984 è una società controllata quasi esclusivamente dal castigo e dal timore di esso. Nel mondo immaginario della mia favola il castigo è raro e di solito mite”. Pensare che ora, l’espressione Grande Fratello sia il simbolo dell’inebetimento indotto dalla tv spazzatura, nella sua tragica ironia, è forse la sintesi e il compimento delle profezie dei due geniali scrittori.