Deboli tutte le piazze europee, con forti vendite sui titoli del credito. Ma la Borsa di Milano è di nuovo maglia nera con Monte dei Paschi di Siena a -13%, Mediobanca a -12,7% e forti ribassi per Unicredit, Intesa e Ubi. L'Abi rispedisce a mittente il presunto piano del governo, che intanto ripiega su un "fondo Atlante europeo". Intanto la valuta inglese perde un ulteriore 3,5%. I titoli di Stato dei Paesi dell'Eurozona sono invece protetti dallo scudo della Bce
Borse europee di nuovo in profondo rosso e Piazza Affari maglia nera a -3,9%, zavorrata ancora dalle banche che venerdì avevano fatto crollare il listino di uno storico -12,5%. Mentre tengono i titoli di Stato, protetti dagli acquisti della Banca centrale europea. La fotografia dei mercati del Vecchio Continente, nella prima seduta della settimana successiva allo choc della Brexit, somiglia a quella di ogni altra fase di incertezza. Con due grandi differenze, una sul fronte del Regno Unito e una tutta italiana: il crollo della sterlina, che nonostante gli interventi della Banca d’Inghilterra e i tentativi di rassicurazione arrivati dal cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha toccato un nuovo minimo storico calando a quota 1,32 sul dollaro, e il presunto piano del governo Renzi per entrare nel capitale degli istituti a rischio. Ne ha dato conto Il Fatto Quotidiano, rivelando l’esistenza di un negoziato con la Commissione per ottenere il via libera a un intervento nell’ordine dei 40 miliardi di euro incompatibile con le attuali norme Ue sulle crisi bancarie. A giustificarlo, secondo Palazzo Chigi, sarebbe stato lo “stress sistemico straordinario” causato dalla Brexit. In serata fonti governative hanno ammesso che il progetto era sul tavolo ma è stato archiviato. E ora il “piano A” consiste nel chiamare in causa i partner Ue per mettere a punto un paracadute comune per il sistema creditizio, preso di mira dalle vendite in tutta Europa.
Vendite sui titoli del credito in tutta Europa – Anche Francoforte, Londra e Parigi hanno chiuso in calo, rispettivamente del 3%, 2,55% e 2,97%. Ovunque sono andati a picco i titoli del settore creditizio. In particolare Royal Bank of Scotland è affondata del 15%, Barclays del 17%, Société Générale dell’8,4%, Deutsche Bank del 4,9%. Madrid, che aveva aperto con un rimbalzo del 2,5% nonostante l’esito delle elezioni che lascia il Paese senza una maggioranza assoluta, è passata in rosso per chiudere a 1,9%. A Milano il Monte dei Paschi di Siena è crollato del 13,3%, Mediobanca del 12,7%, Intesa del 10,9%, Unicredit dell’8% Ubi del 6,35% e il gruppo assicurativo Unipol del 10,2%. A picco anche Yoox, che è il gruppo italiano più esposto, in termini di fatturato, sul Regno Unito: -9,59%. Negativa anche Wall Street che ha aperto a -1,02% per poi aggravare le perdite.
Il piano del governo per aggirare le norme Ue entrando nel capitale delle banche – Dopo i tonfi di venerdì, domenica si erano diffuse indiscrezioni su un presunto piano per intervenire a gamba tesa entrando addirittura nel capitale degli istituti più deboli con 40 miliardi di soldi pubblici. Operazione delineata in un editoriale domenicale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, in cui l’economista ipotizzava l’acquisto di azioni da parte dello Stato a dispetto della nuova normativa europea sul bail in. Questo invocando il ricorso a “strumenti alternativi” al salvataggio a carico di azionisti e obbligazionisti, consentito dai trattati europei in caso di “stress sistemici straordinari“. Lunedì la notizia è confermata dal quotidiano di via Solferino e da Repubblica. Bloomberg cita “una fonte che ha chiesto di non essere identificata perché i negoziati sono riservati”, “il governo sta valutando misure da 40 miliardi di euro” e “potrebbe supportare il credito fornendo capitali o garanzie“.
Palazzo Chigi ammette ma ripiega sul “piano europeo” – Nel tardo pomeriggio “fonti di governo” hanno fatto sapere che il “piano A” consiste nel “puntare innanzitutto a una risposta unitaria europea sugli effetti della Brexit, chiedendo maggiore flessibilità e una risposta europea alle eventuali instabilità bancarie”. Magari “immaginando una sorta di fondo Atlante europeo che possa intervenire nei casi di necessità sia per le ricapitalizzazioni sia sulle sofferenze“. Questo perché “agire da soli, con un intervento isolato, sarebbe troppo rischioso”. Valutazione fatta solo oggi, perché fino a domenica, stando a una fonte del Tesoro, l’ipotesi di un consiglio dei ministri straordinario per varare un piano da 20-40 miliardi a sostegno delle banche era effettivamente sul tavolo. Poi il governo ha deciso di fermare tutto e monitorare la situazione. Solo se la risposta europea non dovesse arrivare e le banche italiane dovessero soffrire la Brexit più delle attese, allora potrebbe entrare in azione il “piano B”, cioè “un ventaglio di strumenti” da mettere in campo per evitare un effetto a catena con rischi sulla stabilità finanziaria. Tra questi l’intervento di Cassa depositi e prestiti per comprare obbligazioni bancarie, con garanzia del Tesoro. Inoltre a breve il governo potrebbe dover supportare la nascita di un fondo Atlante 2 o rifinanziare quello attuale, con capitali di assicurazioni e fondi pensione, per intervenire sulle sofferenze bancarie, visto che quello attuale dopo aver ricapitalizzato Pop Vicenza e Veneto Banca non ha più risorse sufficienti per intervenire anche sulle sofferenze. L’ingresso dello Stato nel capitale delle banche sarebbe invece la extrema ratio, perché gli elettori potrebbero non prenderla bene.
Abi e Ubi Banca respingono al mittente la proposta di intervento statale: “Follia” – La lobby bancaria del resto nel corso del pomeriggio ha rimandato al mittente la proposta prima ancora che sia concretizzata. Il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, a margine del consiglio nazionale della Fabi ha commentato dicendo che “a differenza di altri paesi le banche italiane hanno la capacita e le potenzialità per affrontare questa crisi da sole”. “Il tema da guardare – ha sostenuto – sono i fondamentali delle banche che hanno avuto riconoscimenti nazionali e internazionali sulla solidità, hanno rafforzato i coefficienti patrimoniali e di liquidità e stanno affrontando il problema dei crediti deteriorati“, che ammontano a oltre 200 miliardi. Il consigliere delegato di Ubi Banca, Victor Massiah, dal canto suo ha risposto a muso duro. “In presenza di risorse che sono scarse mi domando perché iniettare risorse in una banca solida come la nostra. Sarebbe una follia, a me sorprenderebbe”, ha detto a margine della presentazione del nuovo piano industriale che prevede l’uscita di 2.750 dipendenti e l’ingresso di 1.100 nuove risorse. “Considerate le informazioni a mia disposizione, stando alla mia capacità di capire, non vedo perché il governo dovrebbe fare un’iniezione di capitale in Ubi considerato il nostro piano industriale e i nostri punti di forza”.
Spread poco mosso grazie alla Bce – Sul fronte del mercato obbligazionario, il differenziale di rendimento (spread) tra Btp e Bund tedesco resta poco mosso. In avvio segnava quota 163 punti contro i 160 della chiusura di venerdì, poi è sceso a 161,9. I titoli di Stato decennali italiani rendono l’1,5 per cento. Il piano di acquisti della Banca centrale europea rende del resto in questa fase praticamente impossibili tensioni significative sui debiti sovrani come quelle del 2011. I tassi di interesse sui titoli decennali inglesi (Gilt) sono invece scesi al minimo storico di 0,985%, per la prima volta sotto l’1%, mentre il rendimento del vent’anni è sceso fino al minimo di 1,729% e quello del 30 anni a 1,845%. Segno che i mercati prevedono che a pagare il prezzo della exit non sarà la Gran Bretagna ma i Paesi Ue più deboli, a partire dall’Italia. I cui titoli di Stato però sono protetti dallo “scudo” della Bce. In più, gli analisti si attendono all’occorrenza iniezioni di liquidità da parte della Bank of England.
Sterlina ancora a picco – I mercati restano in attesa di comprendere tempistiche e conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, nel giorno in cui Matteo Renzi, Angela Merkel e Francois Hollande si vedranno a Berlino per stabilire una posizione comune su come affrontare la crisi. La sterlina continua a crollare: dopo il -10% di venerdì scorso, quando è arrivata al minimo da 31 anni nonostante gli interventi della Bank of England per sostenerla, la valuta britannica ha perso un ulteriore 3,5% arretrando sotto quota 1,32 sul dollaro, ai minimi 31 anni, e a 1,2153 sull’euro.