di Mirko Annunziata
È accaduto “l’impensabile” secondo i media britannici: il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea e, anche se non si tratterà di un processo immediato, sarà irreversibile.
Si manifestano le tensioni regionali, con Scozia e Irlanda del Nord, entrambe regioni a favore del ‘remain’, che hanno già minacciato di uscire a propria volta dal Regno Unito per rientrare di nuovo in Europa (nel caso dell’Irlanda del Nord magari con una riunificazione con l’Eire).
Esiste tuttavia un’ulteriore frattura meno rumorosa, ma destinata ad avere conseguenze ancor più profonde sulla società britannica, una frattura legata all’età. Fino ai 49 anni la maggioranza delle preferenze è andata al ‘remain’, mentre tra i votanti che hanno superato il mezzo secolo a prevalere è stato il ‘leave’.
Che cosa significa? Che la decisione più importante per il Regno Unito in questo secolo è stata presa dalla demografia e dalle sue leggi. I cinquantenni costituiscono infatti, in tutta l’Europa, l’ultima generazione di baby boomer prima della stagnazione/decrescita che oggi stiamo vivendo. Il notevole differenziale di prospettive tra i baby boomer e le generazioni precedenti rispetto a quelle più recenti è stata la chiave per la vittoria del ‘leave’.
Certo, in democrazia la maggioranza è sovrana e formalmente non si può considerare invalido il responso uscito da Londra. Anche se va ricordato che la sovranità in Inghilterra appartiene formalmente al Parlamento e non al popolo, ma difficilmente la volontà espressa verrà sovvertita. Eppure la vittoria delle generazioni più anziane sui quelle più giovani impone un paio di riflessioni.
Oltre a essere la componente maggioritaria del corpo elettorale, gli over cinquantenni costituiscono sostanzialmente la classe dirigente europea. Questo nonostante i padri dei cinquantenni siano stati coloro che hanno portato gran parte dei paesi europei a quegli enormi buchi di bilancio che oggi paghiamo a causa di un welfare insostenibile, mentre i cinquantenni attuali, impegnati a tappare questi buchi, si cimentano in ricette economiche lacrime e sangue che deprimono la crescita europea.
Il Regno Unito rispetto al continente è un caso in parte diverso dal punto di vista prettamente economico, tuttavia non basta qualche punto del Pil in più a nascondere fenomeni che affondano le radici più nel sociale che nel mondo economico. La costante che lega le due sponde della Manica è che tutte queste decisioni sono state prese senza la partecipazione delle generazioni più giovani, quelle che poi concretamente sono e saranno chiamate a metterle in pratica.
Quando Londra decise di entrare nel 1974 le aspettative consistevano nel poter trarre profitto dal mercato comune europeo. Le prospettive di un avvicinamento politico tra le nazioni europee in vista di una federazione veniva visto come un sogno dei continentali. Con l’arrivo di Maastricht il sogno per Londra si tramutò in incubo. Per i britannici attualmente over 50 riecheggia prevalentemente l’idea del blocco continentale nazista contro cui hanno combattuto i loro padri o loro stessi.
Solo chi è nato dopo gli anni Settanta ha potuto guardare senza pregiudizi i primi benefici che l’Europa in cammino verso l’integrazione tra paesi è in grado di dare. Ma sono pochi e con scarso potere, esattamente come i loro coetanei europei che tenuti sempre più ai margini del potere, vivono un vero e proprio “apartheid demografico”.
Brexit dunque è solo l’ultimo paradosso europeo di decisioni cruciali per il destino del paese prese da coloro che sostanzialmente non ne subiranno le conseguenze. Il Regno Unito, e il resto del continente, si ostinano a volgere lo sguardo al secolo precedente nel tentativo di risolvere i problemi presentati da un mondo che muta a una velocità mai vista prima nella storia. Una prospettiva molto pericolosa, che nel futuro costringerà le nuove generazioni, quando finalmente saliranno al potere, a dover gestire un declino europeo che sarà con tutta probabilità irreversibile.