“La maturità in Italia valorizza ancora le conoscenze; è indubbio che, però, abbia bisogno di un tagliando. Lo stiamo facendo; l’anno prossimo ci saranno delle sorprese. Per dare agli studenti un esame sempre più aggiornato, che apra verso il futuro; sia esso all’università o nel mondo del lavoro”. Sono le parole del ministro dell’istruzione Stefania Giannini. L’inquilina di viale Trastevere parla di tagliando ma a lei che fa parte del governo del rottamatore vale la pena porre una domanda: non è arrivata l’ora di abolire questo inutile esame?
Ci sono almeno quattro buoni motivi per provare a rispondere a questa domanda.
Il primo: in molti si affannano ancora a spiegare che questo è un esame serve per crescere, per cambiare, per chiudere un cerchio. La scrittrice Antonella Landi sul “Corriere Fiorentino” di ieri scriveva: “La maturità è come una dichiarazione d’amore: sai che te la giocherai tutta lì, in quel luogo e in quel momento e che dovrai farlo bene o perderai qualcosa che per te conta. Non a caso, quando la maturità finisce, nessuno è mai uguale a prima che le prove iniziassero”. Forse dovremmo mettere la parola fine a questa visione romantica dell’esame di Stato e lasciare ad Antonello Venditti il compito di farci ancora sognare “La notte prima degli esami”. Lo spiega bene dalle stesse colonne del “Corriere Fiorentino”, Mario Lancisi: “E’ la vita di tutti i giorni un susseguirsi di esami”. La vera prova di maturità è la preoccupazione di un lavoro da trovare in questo Paese o quella di quale ateneo frequentare.
Il secondo: quel “voto” serve a nulla, ha solo, purtroppo, un “valore legale” che andrebbe abolito. Quando ci si presenta dal datore di lavoro non viene più chiesto il voto della maturità ma cosa sai fare. Inoltre come ha spiegato Giorgio Abravanel, “gli atenei non credono più ai voti di maturità così organizzano i loro test di ingresso”.
Il terzo: la nostra maturità è una farsa. Al nostro esame di Stato sono ammessi il 96% dei ragazzi e lo superano il 99% (secondo i dati del Miur): “Non è selettivo; dà esiti diversi a seconda della discrezionalità di ciascuna commissione; non fornisce un vero quadro delle competenze acquisite; non orienta né per l’Università né per il lavoro. Una soluzione sarebbe abolirla (la maturità, ndr) tout court lasciando che siano le università a selezionare gli studenti in ingresso”, ha spiegato in questi giorni il direttore della Fondazione “Giovanni Agnelli”.
Non solo. Oggi il nostro esame di Stato è composto da tre prove più il colloquio finale: il vecchio tema (sempre più scontato), la prova per indirizzo e il cosiddetto “quizzone” dove i ragazzi devono prepararsi su tutte le materie per essere pronti a rispondere alle domande scelte dalla commissione che opterà solo per alcune discipline. Una prova “tarocca” visto che il 38% dei ragazzi (secondo un’indagine di Skuola.net) conosce prima le materie grazie alla bontà dei professori.
Il quarto: il nostro esame ha un costo non indifferente per le tasche degli italiani. Solo per i commissari esterni si valuta una spesa di 150 milioni di euro. Più circa trenta milioni per i presidenti. Senza contare il costo sulle famiglie per ripetizioni, materiale. Dall’altro canto basterebbe guardare alla Finlandia dove alla fine degli studi obbligatori non c’è alcun esame ma viene rilasciato un certificato con i risultati ottenuti in test svolti durante il percorso. Così in Svezia e in Islanda non c’è alcuna prova di maturità.
Un’ultima questione: se proprio non si vuole abolire forse è il caso di iniziare a pensare ad una maturità europea, una prova che certifichi le medesime competenze in ogni Stato, dando ad essa un valore da spendere ben oltre i propri confini