“Fate presto”. E’ questo il grido di dolore lanciato da Mario Cavallaro, capo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, l’organo di autogoverno della categoria. Che negli ultimi mesi è stata travolta da scandali e arresti. E che ora è al centro di un braccio di ferro tra chi vorrebbe inglobare il settore tra le competenze della magistratura ordinaria. E chi, come Cavallaro, ne difende l’autonomia. Ma il rischio è che passata la buriana, gli annunci e la confusione, tutto resti com’è: “Se si vuole cambiare davvero e limitare il rischio di altri scandali bisogna professionalizzare i giudici. Ma servono soldi, altrimenti saranno state solo chiacchiere. Per di più molto pericolose perché producono incertezza”.
BALLETTO MILIARDARIO Il presidente della giustizia tributaria insiste: “Qualunque sia la decisione che spetta al governo auspichiamo una soluzione rapida: ballano controversie per 30 miliardi di euro e non so quale Paese possa permettersi di rinunciare ad incassi che in via prudenziale si aggirano intorno ai 15 miliardi”, dice Cavallaro a ilfattoquotidiano.it alla vigilia di una serie di confronti istituzionali con il ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) e della Giustizia. Eppure del tavolo interministeriale annunciato con grande enfasi si sono perse le tracce. Tanto che Cavallaro, marchigiano senza peli sulla lingua ad un certo punto sbotta: “E chi li ha sentiti più?”. Riferimento a Palazzo Chigi che, per ora, non batte un colpo.
COLPO D’ALA “Credo che la giustizia tributaria debba essere ricondotta sotto l’ala della Presidenza del Consiglio come succede per la giustizia contabile e quella amministrativa. Il nodo fondamentale è però svincolare il settore dalla relazione con il Mef”, dice Cavallaro spiegando anche il perché va reciso questo vincolo. “Il ministero delle Finanze è un portatore legittimo degli interessi di una delle parti processuali e cioè quella delle agenzie interessate alla riscossione. Evidentemente ciò è in contraddizione con la funzione di regolamentazione del conflitto che deve essere necessariamente terza. Oggi, invece, ha un controllo diretto sulla giurisdizione oltre che sul personale amministrativo che dovrebbe invece rispondere esclusivamente ai giudici tributari”.
FUORI I CONCORSI Ma chi sono esattamente costoro? Al 30 marzo la categoria risulta composta da una pattuglia di 3.186 giudici dei quali 1.584 togati (il 49,7 per cento) “che svolgono l’incarico a mezzo servizio, come secondo lavoro rispetto alle altre giurisdizioni da cui dipendono”, spiega Cavallaro. Poi ci sono 1.602 giudici laici (il 50,2 per cento del totale), quelli che sono più spesso finiti nel mirino delle inchieste. “E’ stato un anno orribile e purtroppo nessuno può garantire che certi episodi non avvengano più per quanto ci si impegni con le ispezioni e i controlli. L’unico rimedio è passare ad un sistema di giudici professionisti pagati adeguatamente e che svolgano esclusivamente questo mestiere. Se il governo vuole si può riformare il sistema in una paio d’anni. Ma servono risposte subito, magari attraverso la delega fiscale in modo che si possano fare i concorsi e garantire le risorse per qualificare sensibilmente il sistema. Già oggi però vorrei ricordare che i tempi di definizione del contenzioso sono pari ad un anno e mezzo. Sfido la magistratura ordinaria a fare altrettanto”.
ORDINARIA INGIUSTIZIA Il riferimento alla giustizia ordinaria non è casuale. Specie dopo che alla Camera due esponenti del Pd e cioè Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia e David Ermini, che del partito è responsabile per il settore, hanno presentato come primi firmatari un progetto di legge che vorrebbe abolire l’attuale assetto della giustizia tributaria per ricondurla nel perimetro di quella ordinaria. E cancellando con un tratto di penna il Consiglio di presidenza oggi guidato da Cavallaro che, secondo questo schema, non avrebbe più alcuna ragione d’essere. Dal momento che la magistratura ordinaria ha già un suo organo di autogoverno e cioè il Consiglio superiore della magistratura (Csm).
SIAMO SERI “Più che un progetto di legge è un pastrocchio. E badi – dice l’avvocato Cavallaro che è maestro di sarcasmo ma solo via social – che non sono preoccupato per la poltrona che occupo: faccio solo notare che per abolire la Commissione tributaria centrale ci sono voluti vent’anni: l’ultimo ricorso è del 1992, ma l’organismo ha lavorato fino al 2014. Se tanto mi dà tanto io starei al mio posto per un bel pezzo. Il problema vero dell’incertezza generata dagli annunci è invece tutto dei contribuenti alle prese con gli accertamenti tributari. E che hanno diritto di sapere quali sono le regole, qual è il giudice di fronte al quale devono difendersi e soprattutto se devono pagare o no. Mi pare il minimo. Quello della riforma della giustizia tributaria è insomma un percorso che richiederebbe maggiore serietà. Anche perché ballano diversi miliardi: mi dicano lorsignori cosa devo dire ai contribuenti della Lombardia dove pendono controversie che pesano per un terzo del valore complessivo del contenzioso italiano. Anche in quella regione cominciano a mancare i giudici, molti sono andati in pensioni e molti altri si stanno dimettendo perché non sanno che fine faranno”.
MANDARINI GUASTI Del resto sul progetto di cancellare la giustizia tributaria per sottoporre il contenzioso anche solo quello futuro alla giustizia ordinaria si sono levate già molte critiche. A partire da quella dell’Associazione nazionale magistrati che ha stroncato senza appello il progetto Ferranti-Ermini. Un colpo mortale e forse definitivo alla giustizia civile a detta dell’Anm: “Se si vuole fare sul serio la strada non è questa. Bastano poche cose ma ben pensate. Dovrebbero saperlo tutti”, dice Cavallaro: “Io capisco che ci sia qualcuno che accarezzi l’idea di mettere le mani direttamente o indirettamente su una partita così rilevante. Ma si tratta di mandarini che rischiano di trascinarci nel caos”.