A Wimbledon Roger Federer è nato, è stato incoronato e ha regnato. C’è stato un anno, nel 2007, che si è addirittura presentato al debutto sul campo centrale in tailleur bianco ricamato d’oro (vero, mica per scherzo). Un abito degno di un re, che a Londra quell’anno avrebbe vinto il suo quinto trofeo consecutivo, e poi ne avrebbe sollevati altri due nel 2009 e nel 2012. Adesso, però, proprio sull’erba di casa potrebbe abdicare. Forse stavolta per sempre.
Wimbledon 2016, oltre ad essere la penultima tappa del grande Slam di Novak Djokovic, è anche l’ultima occasione di Federer per vincere un Major. Lo si ripete ogni anno, vero. Ma ogni anno lo svizzero è un anno più vecchio e ha meno possibilità di farcela. Per il momento è fermo a quota 17 Slam e 7 Championship. Record assoluto il primo, in condivisione con William Renshaw e Pete Sampras il secondo. È già nella storia del tennis, ma tornare a vincere a distanza di quattro anni dall’ultimo trionfo e con quasi 35 candeline sulle spalle (le spegnerà il prossimo 8 agosto) aggiungerebbe epica alla leggenda. Anche perché a motivarlo ulteriormente c’è l’arrembaggio di Djokovic, che a 29 anni ha già messo nel mirino il suo primato di 17 titoli e completando il Grande Slam lo scalzerebbe legittimamente dal trono di più forte tennista di ogni epoca.
Le ambizioni di Federer, i sogni dei suoi tifosi si scontrano però con la dura realtà. E col tempo che passa. I numeri dicono che Roger, ancora numero tre del ranking, non è più competitivo sul cemento, almeno non sulla distanza dei cinque set: negli ultimi cinque anni appena una finale persa agli Us Open 2015. Sulla terra neanche a parlarne, quella non è mai stata la sua superficie neanche ai tempi d’oro. Sull’erba è diverso, però. Qui Federer può accorciare gli scambi, far valere la sua classe immensa, dimenticarsi della carta d’identità. Infatti sia nel 2014 che nel 2015 è arrivato in fondo, regalando al pubblico due finali memorabili, perse entrambe contro Djokovic. Adesso, però, la schiena di Federer oltre al peso degli anni deve portare anche quello degli infortuni. I guai che l’hanno menomato a Roma e costretto a saltare Parigi. E i cui strascichi si sono visti anche a Stoccarda e Halle, tradizionali tornei di avvicinamento a Wimbledon, dove Federer di recente aveva sempre vinto (ultima sconfitta nel 2012, contro Tommy Haas) e stavolta ha perso: prima con Dominic Thiem, che sta diventando un po’ la sua bestia nera, poi contro Alexander Zverev. Entrambi giovani e rampanti, per nulla in soggezione di fronte all’erba e al suo re.
Ogni anno che passa Federer perde qualche colpo: nel 2014 Djokovic l’aveva sconfitto in 5 set e 4 ore, nel 2015 di set ne sono bastati 4 e di ore 3. La sua condizione fisica non è mai stata così precaria. Il primato di longevità per il Championship nell’era Open è ancora di Arthur Ashe, campione a 31 anni e 11 mesi nel 1975. Persino Ivanisevic, che ha trionfato a Londra a carriera praticamente finita nel 2001, di anni ne aveva “solo” 30. Da quando gli Slam si giocano nella configurazione attuale, soltanto Agassi è riuscito a conquistare un Major a 33 anni (in Australia, nel 2003). Federer adesso ne ha due in più, e non vince dal 2012. Tutto, insomma, dice contro di lui. Tranne il sorteggio: debutterà contro l’argentino Pella, fino ai quarti di finale non incontrerà ostacoli maggiori di Monfils, Dolgopolov o Dimitrov. La classe di sempre potrebbe bastargli per arrivare almeno fino a lì. Poi chissà. Vederlo sull’erba di Londra sarà comunque uno spettacolo. È una delle ultime volte.