Per Carlo Pedersoli il cinema non è la prima scelta, ma lo diventa perché fa campare. E proprio per campare, con diverse cambiali da pagare, si presenta nel 1967 l’occasione di Dio perdona…io no!. Il successo arriva con il Plot Trinità, regia di E.B.Clucher - al secolo Enzo Barboni - che inaugura il filone aurifero in tandem con il futuro don Matteo. Fino alla candidatura con Forza Italia nel 2005
Il pugno dall’alto al basso come una martellata sulla testa delle comparse, la manona che si allarga aperta sul viso per lamentarsi delle malefatte di Terence Hill, il “bo bobobo” cantato tra le fila di un folle coro. Ognuno ricorderà Bud Spencer, Carlo Pedersoli, morto ad 86 anni, per un gesto o un espressione recitata nei suoi film, anche solo per un attimo, una rapida sequenza, in cui si fa rapida giustizia dei cattivi usando con grazia la paurosa forza delle mani. Bonario e silenzioso, l’attore italiano tra i più popolari al mondo esplode quando nel 1970, oramai al decimo film, con Lo chiamavano Trinità, regia di E.B. Clucher, inaugura la coppia “comica” con Hill/Mario Girotti.
“Non eravamo dei comici, ma facevamo ridere”, ha sempre spiegato il segreto del suo, anzi del loro, successo Pedersoli. Terence il furbo, Bud il forte. Hill il combina guai con il sorriso e gli occhi azzurri che fulminano le signorine, Spencer che rimette le cose apposto a suon di sberloni. Non si scherza con quei due. Anche se loro scherzano molto con tutti e poi li riempiono di botte. Pedersoli iniziò in solitaria quando nel 1951 indossò elmo e corazza, e come centurione apparve in due pose a fianco di Peter Ustinov in Quo Vadis; poi è uno dei marinai scelti in Siluri Umani (1955) addestrato come in Ufficiale e Gentiluomo; e ancora: è il ragazzo piuttosto incazzato della donna amata da Sordi in Un eroe dei nostri tempi (1956). Niente barba, tanto fisico. Quello che gli permise durante gli anni ’50 di diventare campione di nuoto a rana, record sotto al minuto in stile libero, e pallanuotista. Ma anche operaio semplice mentre in Sudamerica spalava asfalto bollente per costruire la Panamericana.
Il cinema non è la prima scelta, anzi. Compare perché fa campare. E proprio per campare, con diverse cambiali da pagare, si presenta nel 1967 l’occasione di Dio perdona…io no!. Il racconto della trattativa direttamente con il regista Giuseppe Colizzi non è mai stato del tutto verificato, ma tant’è Bud diventa protagonista di uno spaghetti western pieno di sangue e di una certa violenza. Nulla a che vedere con il filone aurifero degli anni settanta/ottanta che, giusto per dirne una, lo fece diventare star assoluta tra i tedeschi ancora separati dal Muro di Berlino. Bud Spencer, come del resto Terence Hill, masticavano diverse lingue. Pedersoli almeno sette, tra cui il tedesco, più il napoletano. Insomma sul set di Colizzi lavora con Girotti per la prima volta e subito si formerà il trittico con I quattro dell’Ave Maria (1968) e La collina degli stivali (1969). Pochi i battibecchi col compagno di una vita, ben più serioso e poco scanzonato nei ruoli dei primi tre film di Colizzi.
E.B.Clucher, al secolo Enzo Barboni, con il plot di Trinità e Bambino de Lo chiamavano Trinità è invece già alla parodia di un sottogenere dopo nemmeno cinque anni di Sergio Leone, Sergio Corbucci e Duccio Tessari. Gli italiani, poi a seguire tedeschi e spagnoli, corrono in massa a vedere Bud e Terence al cinema. Il sequel …continuavano a chiamarlo Trinità (1971) è campione d’incassi di quell’anno e nella top 15 dei film che hanno incassato di più in Italia. Pedersoli e Girotti sono una coppia d’oro che fa sorridere grandi e piccini. Banale scriverlo, ma questo li fa diventare non solo popolari, ma letteralmente figure archetipiche di un cinema d’intrattenimento che non brutalizza la forma a favore del box office. Bud continua con Montaldo in solitaria per Gott mit uns, in Quattro mosche di velluto grigio di Dario Argento, Torino nera di Lizzani, in coppia con Giuliano Gemma al posto di Terence Hill in Anche gli angeli mangiano fagioli. Ma l’alchimia è solo assieme al sodale futuro Don Matteo. Ecco allora, tra il 1972 e il 1974 i tre film che consacrano il duo fracassone: Più forte ragazzi, Altrimenti ci arrabbiamo, e Porgi l’altra guancia. Senza nulla togliere agli altri due, il film diretto da Marcello Fondato, Altrimenti ci arrabbiamo, è la pietra miliare del buddie movie FSpencer/Hill, con Spencer che è un nome inventato in omaggio a Spencer Tracy, ricordiamolo.
È qui che i due attori si giocano la Dune Buggy a birra e salsicce posando gli stecchini colorati sul tavolo per contare chi ne accumula di più. Impossibile staccare gli occhi da quel cinema tanto popolare, quanto ben scritto e contestualizzato sempre in scenari differenti, magari esotici, fermo un passo prima che la baracconata diventi puro kitsch. Bud Spencer intanto dà il via anche alla saga, altrettanto fortunata in termini di incassi ma non di popolarità come nei film in coppia con Hill, di Piedone lo sbirro, dove interpreta il commissario Rizzo (altri tre i sequel in pochi anni prodotti dalla Titanus). Tra il ’77 e il ’79 è l’ora di altri tre memorabili successi assieme a Girotti: I due superpiedi quasi piatti, Pari e dispari, e Io sto con gli ippopotami. Ancora Clucher che rimescola le carte tra botte da orbi e bische clandestine; e poi con Italo Zingarelli, lo storico produttore che inventò e puntò tutto sulla coppia d’oro ai tempi di Trinità, diventato regista per una favola ecologista che ha come happy ending la liberazione degli animali della savana dalla stiva di una nave di bracconieri. Bud il gigante buono salvava tutto e tutti: dal compagno sopportato suo malgrado, al bambinetto extraterrestre Cary Guffey in Chissà perché… capitano tutte a me e Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre; o ancora nel divertentissimo dittico diretto da Michele Lupo, quando diventa idolo e protettore delle comunità locali italiane del Tirreno minacciate da gradassi marines: Lo chiamavano Bulldozer e Bomber.
Niente Terence Hill ma qualche buon comprimario comico come Jerry Calà e Bud Spencer assurge a ruolo di star incontrastata guarda caso mentre interpreta un asso dello sport – rugby in Bulldozer, boxe in Bomber – ritiratosi ad una vita isolata e lontana dai riflettori. Siamo nei primi anni ottanta. La carriera di Bud Spencer potrebbe finire qui con una quarantina di titoli in cassaforte. Ancora due guizzi assieme a Hill. Il primo è Nati con la camicia che è una parodia esilarante di una spy story alla James Bond; il secondo, tra marmellata Puffin, padellate di fagioli post Trinità, e una vis comica inesauribile per una storia vecchia come Stevenson, è Chi trova un amico, trova un tesoro. A suon di cazzotti si segnala poi la disastrosa reunion con Girotti per Botte di Natale nel 1994 dopo nove anni di lontananza dai due insieme sul set. Solo che la formula è cambiata, sembra improvvisamente invecchiata nel ritmo e nelle trovate, oltretutto ripetute continuamente in televisione con i loro “vecchi” film. Bud Spencer fa una comparsata in Fuochi d’artificio di Pieraccioni, è protagonista in Cantando dietro i paraventi di Olmi (2003), e riesce perfino a dedicarsi nel 2005 alla politica attiva supportando non senza orgoglio Francesco Storace candidato presidente alla regione Lazio nella lista di Forza Italia. Peccato veniale nella carriera brillante e umana dell’omone, 1 metro e 95, 123 chili, con due fessure al posto degli occhi e quel buffo grugno con le labbra a cerchio come a chiedersi “Che diavolo sta succedendo?”.