di Simone Nebbia per Crampi Sportivi 

Si gioca alle 18 e c’è ancora il sole lungo via Cupa a Roma. Le tende che stazionano lungo la stradina che sbocca sulla Tiburtina, di fronte al cimitero del Verano, sono invece tutte aperte a far passare aria; le preparano per la notte, quando il respiro si farà affollato. Quando passi da quelle parti lo avverti che c’è qualcosa di diverso, che se c’è un africano con un rasoio che fa la barba a un africano seduto su una sedia, sul marciapiede alle spalle dei cassonetti, non è un contest di un barber shop multiculturale. È necessità, vissuta con quel poco di leggerezza.

Ma insomma noi qui ci siamo venuti a vedere il pallone, giusto? Certo non ci si aspetta che il pallone sia quella cosa molliccia e informe che tenta di rotolare lungo l’asfalto di fianco alle tende. Che non si sa nemmeno chi l’abbia calciata. Chiediamo e ci dicono che i migranti sono tutti a vedere l’ottavo di finale di Euro2016 Italia-Spagna al Bar Dallas, all’angolo successivo. E allora reprimiamo la voglia smisurata di dare un calcio a quel pallone per vedere che forma possa prendere e corriamo anche noi, ché deve essere cominciata. Già, infatti. Sui quattro schermi stanno già correndo, corrono più i nostri, fino a questo punto; in basso, chi seduto chi in piedi, chi appollaiato in fondo alla sala, tutti urlano perché Giaccherini ha appena rischiato di fare gol in rovesciata. Urlano, forse lo sanno che se Italia-Spagna la decide Giaccherini in rovesciata allora la partita può dirsi conclusa e tutto è possibile, allora pure loro possono sperare quasi di rimanere in Italia. E invece no, palo! E palla ancora in gioco, informe, molliccia. Ma in gioco.

La battaglia in campo è piuttosto facile da leggere: Conte ha messo in piedi un undici privo anche lontanamente di qualità, ma con muscoli e fiato per due; Del Bosque lo fronteggia con una tattica stancamente abituale, in cui finisce per confondersi da solo. E infatti sbaglia, si fa allargare Juanfan e Jordi Alba, i due terzini, dalle due lame lasciate alle ali dal collega pugliese: De Sciglio a sinistra e Florenzi a destra li tengono lontani dal centro dove pertanto gli incursori operai, Giaccherini Eder e Parolo, infilano a ripetizione due campioni del mondo come Piqué e Sergio Ramos, costretti a stare dentro maglie troppo larghe per anche soltanto uscire dall’area di rigore e mal supportati da un centrocampo esile, fatto di solisti e scarso di dinamismo.

Ma la partita, l’altra, quella dei migranti, Italia e Spagna la giocano con uno schieramento simile. Per ovvi motivi geografici sono i paesi più a portata di quell’inferno che sui giornali si chiama “viaggio della speranza”; e speranza, infatti, se ne legge tanta negli occhi di chi riesce ad arrivare dall’altra parte, del mondo, della storia. C’è in rete una foto sorridente di un ragazzo che mostra le scarpe con cui ha scavalcato la recinzione a Melilla, territorio spagnolo nel nord del Marocco, un po’ come i velocisti dell’atletica di fianco al timer col tempo record; c’è nel viaggio un poderoso senso di rivolta intima, un tentativo di “fare il record” che sta tra la vita e la morte.

La tendopoli di Via Cupa è quanto di più facilmente immaginabile si verificasse da quel 6 dicembre 2015 quando, per restituire i locali alla proprietà e in vista di una nuova locazione promessa e mai individuata dal Comune di Roma, fu chiuso il Centro Baobab che aveva accolto 30000 migranti: lo spostamento, di qualche metro, dello stesso servizio a condizioni ancora più limitate, curato dal progetto Baobab Experience. Perché non si arresta il sostegno dell’uomo all’uomo, quando ce ne siano, di uomini. Se non diventano funzioni pubbliche.

Yaya ha le scarpe slacciate, di gomma. Dopo che sono scoppiati in urla di gioia per il vantaggio di Chiellini dice che lui a calcio ci gioca, viene dall’Eritrea e chissà dove sarà finito mentre scrivo queste righe. Era in partenza, lo è sempre, da sempre. Dentro si agitano, Eder azzecca un dribbling, Eder sbaglia, loro ridono, l’impressione è che ridano comunque, che è sempre tutto meglio, meglio di prima, meglio del niente da cui arrivano. È questo un imprevisto, curioso, spirito nazionale “in transito”; David per esempio viene anche lui dall’Eritrea e lo dice che tifa Italia perché qui sta in Italia…e non m’è parso mai così lampante. Pellè fa il 2-0 e la Spagna torna a casa. Noi restiamo. Ai quarti ci aspetta l’ennesimo Italia-Germania. Restiamo in Europa. I migranti si sono divertiti, in Europa chissà se ci restano. A volte restano, a volte escono. Per un sì, o per un no. Per quanto sono buone le scarpe. Senza nessun referendum.

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