L'ex ministro: "Questo non è il mio processo, dimostrerò la mia innocenza e spiegherò qualsiasi cosa nel processo collegato dove sono imputato. È inutile ripetere le stesse testimonianze quindi, su suggerimento della mia difesa, ho fatto questa scelta che è stata accettata dal Tribunale”
Silenzio davanti a pm, giudici e imputati. Gianni Alemanno si avvale della facoltà di non rispondere nell’udienza per il processo Mafia Capitale. Un diritto quello dell’ex sindaco di Roma in quanto imputato, nel processo stralcio su quello che fu definito dagli inquirenti il “Mondo di mezzo”, per corruzione e finanziamento illecito. Caduta l’iniziale accusa di associazione mafiosa, l’ex ministro è comparso per la prima volta davanti ai suoi giudici il 23 marzo scorso. Oggi nell’aula bunker di Rebibbia chiamato sul banco dei testimoni dalla difesa di Salvatore Buzzi ha deciso di non rispondere alle domande. “Questo non è il mio processo, dimostrerò la mia innocenza e spiegherò qualsiasi cosa nel processo collegato dove sono imputato. È inutile ripetere le stesse testimonianze quindi, su suggerimento della mia difesa, ho fatto questa scelta che è stata accettata dal Tribunale” ha poi dichiarato uscendo dall’aula.
Delusa la difesa dell’ex ras delle cooperative rosse: “Ci credevo e ci speravo, avevo pronto un lavoro di 180 pagine tra domande, ricostruzioni e chiarimenti. Alemanno ha sempre detto che voleva chiarire e uscire il prima possibile da questa vicenda, questa sarebbe stata l’occasione giusta. Sarebbe stato utile – dice l’avvocato Alessandro Diddi – riannodare tutti i fili che stanno uscendo fuori da questo processo con uno dei protagonisti di quegli anni. Ma capisco che si voglia difendere nel suo processo”. Per l’ex esponente del Pdl ci sarebbero state domande sulla nomina dei componenti dei cda di società partecipate dal Comune di Roma e quesiti sui finanziamenti ricevuti dalla cooperative del Ras delle Cooperative e anche la richiesta di conoscenza di Massimo Carminati, l’uomo considerato il capo dell’associazione mafiosa: così temuto anche se detenuto al 41 bis che un testimone ha tentato di ritrattare le dichiarazioni fatte ai pm di Roma.
Alemanno ha spiegato così la sua scelta ai cronisti che chiedevano conto del suo silenzio: “Credo che sia un modo di essere trasparente e corretto rispetto a un procedimento che è molto delicato, che deve essere spiegato bene. Tra poco tempo ci sarà la mia testimonianza nell’altro processo e lì risponderò a qualsiasi domanda. Tutti quanti si potranno tranquillamente avvalere di quelle che saranno le mie deposizioni e anche delle dichiarazioni spontanee che farò in quel processo”. Il 28 aprile alla presentazione del suo libro Verità Capitale di Buzzi aveva detto che era il “vero uomo chiave di Mafia Capitale, era un’icona per la sinistra. Diventa il leader delle cooperative rosse, punto di riferimento del Pd e non solo per tutte le politiche sociali. Era cresciuto durante le giunte di Rutelli e Veltroni. Io sia perché ero esponente della destra sociale e sia per non dare un’idea di rottura – aveva spiegato – ho cercato di avere un buon dialogo con Buzzi. Dall’inchiesta vediamo che il 70% dei coinvolti sono della sinistra, il 30% di destra. Noi abbiamo sbagliato a essere troppo indulgenti ma il primo esame di coscienza deve essere fatto dal Pd”.
Ritornando al presente però Alemanno ha pronunciato una sorta di mea culpa davanti ai giornalisti che oggi gli chiedevano se si rimproverasse qualcosa rispetto agli anni in Campidoglio: “Sicuramente oggi c’è una macchina amministrativa che sfugge al controllo dei politici e quindi su questo bisogna fare la massima attenzione perché la politica su questo può fare poco. Sicuramente dovevo privilegiare la macchina amministrativa, cioè anteporre la macchina amministrativa rispetto alle grandi emergenze. Appena sono arrivato in Campidoglio mi sono occupato del debito di 22 miliardi ereditato dall’amministrazione Veltroni e di quelle che erano le esigenze della città, mettendo in secondo piano il controllo sulla macchina amministrativa che doveva essere la priorità – ha aggiunto – Diciamo che mi sono avventurato in una durissima prova come quella di governare Roma con una macchina con il volante rotto e le ruote sgonfie qual è, purtroppo, la realtà amministrativa romana, malgrado tanti bravi lavoratori e dirigenti”.
Saltate oggi anche le audizioni, previste per oggi, di Mario Mori, generale dei Carabinieri ex consulente del Campidoglio, e di Raffaele Cantone, presidente Anac, per impegni dei due testimoni, entrambi citati ancora da Salvatore Buzzi. L’audizione di Cantone si terrà il 20 luglio prossimo, quella di Mori è ancora da stabilire. L’11 luglio è invece in programma quella del capo della polizia Franco Gabrielli.