Il paragone con i suoi parigrado è quasi irriverente. Il nostro presidente Figc è più personaggio da commedia all'italiana che da rappresentanza, più credibile come presidente della Longobarda che della Federazione, dove ci si è ritrovato un po' per caso e per interesse (soprattutto altrui). Eppure adesso vince l'Italia di Conte, che per proprietà transitiva è anche un po' l'Italia di Tavecchio: è stato lui a volere come ct l'ex allenatore della Juve
Istantanee. Coverciano, foto di rito della spedizione azzurra in Francia. Il tecnico serioso, il modello Pellè, i suoi compagni di squadra belli, giovani e dannati. E il presidente d’annata. Occhiali da sole, giacca d’ordinanza e la camicia dal bottone caparbio che cerca di contenere come può il pressing dell’adipe. Poi quell’espressione, grave, perché trattenere la pancia non è facile sotto il sole. L’Europeo da superstar di Carlo Tavecchio è cominciato così.
Scatti rubati da Montpellier. Tuta d’ordinanza che fa difetto, porta vuota come il campo d’allenamento: goffo tentativo di palleggio, tiro da un metro, palo. E nella testa parte “uacciu uari uari”, la ballata di Fantozzi. Dopo qualche giorno nel quadretto entra pure il ragionier Filini, che prende le sembianze del numero uno del Montpellier: all’anagrafe Louis “lolou” Nicollin, il patron più folkloristico che ci sia Oltralpe. Scene che neanche alla balera dell’Ortica: i due presidenti su un piccolo caddy, in giro per gli stand di quella che sembra una fiera campionaria di mezzi agricoli. Due pensionati sudati e sovrappeso alla ricerca del giusto impianto per irrigare il giardino della casa di campagna. Il Nostro ha sempre quella faccia un po’ così, da giocatore di briscola a 38 gradi all’ombra, in una sala da barbiere Anni ’80 con ai muri i calendari di signorine scollacciate avvinghiate all’ultimo modello di trattore. Invece siamo agli Europei in Francia, la vetrina più prestigiosa del pallone continentale. E Tavecchio è volto e corpo del proto-italiano che rappresenta questa nazionale.
Dimenticate pure la sua espressione grave, i discorsi sempre un po’ contratti, le parole smozzicate per evitare pericolosi scivoloni verbali (non sono mancati in passato). Ottavi di finale con la Spagna, si affrontano i campioni in carica, il rischio di prenderle è altissimo. Nella tribuna autorità dello Stade de France di Saint-Denis il completo sartoriale è d’obbligo, la camicia bianca con canottiera a tema è bandita. Il bottone contenitivo ad altezza ombelico? Come un Chiellini qualunque tra orde di giocolieri spagnoli. Ma vincerà lui. L’Italia gioca bene, gooool! L’Italia soffre, Buffon para, Pellè la chiude. Siamo ai quarti di finale. E allora al diavolo i freni inibitori: esultanza sfrenata in tribuna, poi giù nel tunnel a festeggiare avvolto nel tricolore. Il Garibaldi di Ponte Lambro.
Il paragone con i suoi parigrado è quasi irriverente. La Francia ha il vecchio Noël Le Graët, compito ed impettito padrone di casa. La Germania Reinhard Grindel, avvocato rampante e dirigente pragmatico. La Spagna Ángel María Villar, promosso addirittura a capo della Uefa dopo l’uscita di scena di Platini. Il nostro, invece, è più personaggio da commedia all’italiana che da rappresentanza, più credibile come presidente della Longobarda che della Federazione. Quello, non a caso, è il mondo da cui proviene, in cui è nato e vissuto (e pasciuto) per anni. In quest’altro qui ci si è ritrovato un po’ per caso e per interesse (soprattutto altrui, leggi Lotito & co.), e forse ancora non si è abituato. Eppure adesso l’Italia vince. Vince l’Italia di Conte, che per proprietà transitiva è anche un po’ l’Italia di Tavecchio: è stato lui a volere come ct l’ex allenatore della Juventus. Il meglio che c’era sulla piazza, scelta facile certo, ma che ha avuto anche diversi bassi dopo gli alti iniziali: la vicenda calcioscommesse, o la fuga anticipata al Chelsea.
Partiti nello scetticismo generale, dopo il successo sulla Spagna gli Europei dell’Italia sono già positivi. Se gli azzurri dovessero andare ancora più avanti – battendo la Germania, e magari la Francia in semifinale, e addirittura sollevare la coppa a Saint-Denis –, diventerebbero un trionfo. In cui anche il numero uno della Figc avrebbe i suoi meriti da arrogarsi, alla vigilia delle difficili elezioni federali di fine 2016. È vero che la politica segue altre logiche, ma alla fine nel pallone conta soprattutto chi fa gol, chi vince e chi perde: in fondo, senza il flop ai Mondiali 2014 ora in Figc avremmo ancora il vecchio Giancarlo Abete. Il nostro Bortolotti-Tavecchio lo sa bene, e anche per questo continua a ripetere “Vincere e vinceremo”. Prima, però, c’è Italia-Germania. E chissà quale altro scatto ci regalerà Carletto da Ponte Lambro.