Ricordi, denunce, confessioni. La battaglia di Fabrizio Cinquini, il medico versiliese che lotta da anni per l’autocoltivazione della canapa a fini medici, finisce in un libro, Dottor Cannabis. La storia di un medico antiproibizionista (edizioni Dissensi). In questi giorni, dopo una lunga vicenda giudiziaria e diversi arresti, è stato assolto dal tribunale. Chirurgo, 52 anni, Cinquini racconta con ironia e acume la sua battaglia illegale, nata dopo aver testato su di sé gli effetti benefici della cannabis nel trattamento alimentare dell’epatite C, contratta operando a bordo dell’ambulanza nel 1997. “La mia personale lotta alle mafie del narcotraffico – scrive – resa concreta dall’immissione sul mercato di migliaia di semi, capaci di esentare molte persone dall’umiliazione di dover foraggiare il mercato nero, aveva subito potenti contraccolpi, proprio da quella parte di società che in teoria avrebbe dovuto essere in prima linea in questa lotta”.
Il libro, a cura di Matteo Provvidenza, sarà presentato a Firenze, alla libreria Nardini, alle 18, insieme a Ilaria Lonigro (collaboratrice del fatto.it) ed Enzo Brogi, promotore della prima legge regionale per la cannabis terapeutica in Toscana, promossa e approvata in ricordo di Alessia Ballini, consigliera che, prima di morire di tumore, era costretta a rivolgersi al mercato nero per alleviare il dolore.
Tra il 2013 e il 2015 Cinquini ha conosciuto il carcere di Lucca, quello di Massa ed ha avuto un breve trasferimento all’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, dove è stato dichiarato sano di mente. Ma i numerosi arresti non hanno cambiato la sua condotta “criminosa”: Cinquini ha continuato a coltivare. Recidivo, come racconta nell’autobiografia, al punto da fumare, nel luglio 2013, davanti ai poliziotti che lo avevano appena interrogato (“Chiesi ai due signori, terminato l’inutile e breve interrogatorio, il permesso di uscire dalla gabbia per fumare, mi venne accordato (…) Il più alto in grado dei due ufficiali, raggiunto dal profumo mi chiese tutto allarmato cosa stessi fumando ed io didascalicamente risposi “Blend di West-Virginia col mio ibrido sativo-indico Afghan-Chronic-Supernova-Kush”); recidivo al punto da autodenunciarsi più volte nel tentativo di dimostrare la propria buona fede; al punto da portare personalmente in caserma, caricata in bicicletta, una pianta sfuggita al sequestro, a settembre scorso. Al punto da chiedere alla direttrice del carcere di Massa, dove era detenuto per coltivazione di cannabis, di poterla piantare nell’orto del penitenziario. La risposta ovviamente, per quanto gentile, è stata un no.
Recidivo, provocatore, coerente nella sua “delinquenza”, Cinquini ha portato all’attenzione nazionale un problema, quello dell’accesso alle cure cannabinoidi, pagando con la propria libertà le sue scelte illegali. Ma qualcosa pare essere cambiato: numerosi politici, primo fra tutti Brogi, ex consigliere regionale Pd, lo andarono a trovare in carcere nel 2013; il suo caso ha sollevato interrogazioni parlamentari di M5S e Sel, a Firenze lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare ha avviato la prima produzione di Stato di farmaci cannabinoidi e venerdì il tribunale di Lucca lo ha assolto.