La Trattativa? “Io non ho cercato nessuno, erano loro che cercavano me, per trattare”. La strage di Capaci? “Brusca non ha fatto tutto da solo: lì c’era la mano dei servizi segreti”. L’arresto dopo una latitanza ultradecennale? “Colpa di Bernardo Provenzano”. Il bacio a Giulio Andreotti? “Ma lei mi ci vede a baciare Andreotti?”. Parola di Totò Riina, il capo dei capi di Cosa nostra, mai stato così loquace con un agente di polizia penitenziaria. È il 21 maggio del 2013, Riina è collegato in video conferenza dal carcere milanese di Opera con l’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, dove si sta celebrando il processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. La corte d’Assise presieduta da Alfredo Montalto ordina una pausa, quando ad un certo punto, il boss corleonese si rivolge a Michele Bonafede e Francesco Milano, gli agenti del Gruppo operativo mobile che lo accompagnano. “Appuntato – dice Riina – ha visto quante persone hanno chiamato a testimoniare per il processo Stato-mafia? Vogliono chiamare circa 130 persone. Le pare giusto quello che stanno facendo? Mi vogliono condannare per forza, mi vogliono mettere sotto pressione, a me e alla mia famiglia, facendo perizie calligrafiche”.
È solo la prima delle inedite confidenze rivolte dal capo dei capi ai due agenti, chiamati stamattina a testimoniare davanti alla corte d’Assise di Palermo. “Sia io che il mio collega – ha detto Bonafede in aula- abbiamo chiaramente udito questa frase che non è stata preceduta o seguita da altre espressioni di Riina che potessero farci comprendere meglio il contesto da cui scaturiva. Riina era assolutamente lucido, cosciente, padrone di sé e ha scandito quelle frasi perché noi le sentissimo chiaramente. La frase è stata proferita da Riina – ha spiegato la guardia penitenziaria – circa uno o due minuti prima dell’accesso nella saletta e cioè durante il tempo utile a coprire il breve percorso del corridoio, considerato anche il passo lento del detenuto ormai anziano”.
Le frasi pronunciate da Riina, anche in un’altra pausa dell’udienza del 31 maggio del 2013, sono ritenute importantissime dai pm della procura di Palermo che rappresentano l’accusa contro politici, alti ufficiali dei carabinieri e boss mafiosi al processo sulla Trattativa. Le dichiarazioni del capo dei capi, infatti, sono tutte in qualche modo collegate al processo in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone. “Io -è un’altra delle frasi di Riina – di questo papello non so nulla, non l’ho mai visto. La vera mafia in Italia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro, loro scaricano ogni responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a termine, assumendosi tutte le responsabilità, io sto bene, mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura”.
Frasi forti, che diventano inquietanti quando Riina parla della strage di Capaci e di quella di via d’Amelio. “Io sono stato 25 anni latitante in campagna – avrebbe riferito Riina a Bonafede, come scritto dall’agente nella relazione di servizio – senza che nessuno mi cercasse, come è che sono responsabile di tutte queste cose? Nella strage di Capaci mi hanno condannato con la motivazione che essendo il capo di Cosa nostra non potevo non sapere. Lei mi ci vede a confezionare la bomba di Falcone? Brusca non ha fatto tutto da solo. Lì c’era la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l’agenda del giudice Paolo Borsellino. Perché non vanno da quello che aveva in mano la borsa e non si fanno dire a chi ha consegnato l’agenda? In via D’Amelio c’entrano i servizi che si trovano a Castello Utveggio e che dopo cinque minuti dall’attentato sono scomparsi, ma subito si sono andati a prendere la borsa”.
La parte saliente della conversazione, però, arriva quando Riina parla del suo arresto, avvenuto il 15 gennaio del 1993:”A me mi hanno fatto arrestare Bernardo Provenzano e Ciancimino e non come dicono i carabinieri”. Parole che confermerebbero quanto detto da Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, che per primo ha parlato del ruolo del padre e di Bernardo Provenzano nella cattura di Riina. Al boss i carabinieri sarebbero arrivati grazie all’indicazione del covo segnata da Provenzano nelle mappe catastali fattegli avere dal Ros attraverso Vito Ciancimino.
Su un’altra frase pronunciata dal boss, invece, sono emerse in aula versione discordanti tra il ricordo dei due agenti. Si tratta del momento in cui Riina avrebbe detto: “Io non ho cercato nessuno, erano loro che cercavano me“. Secondo Bonafede, il capo dei capi avrebbe aggiunto “per trattare”, mentre Milano ha riferito che il capomafia disse in siciliano stretto: “Non cercai a nuddu (nessuno, ndr), furono iddi (loro, ndr) a cercare a mia (a me, ndr)”. Senza aggiungere altro.
Ad un certo punto della conversazione, poi, l’agente approfitta dell’insolita loquacità di Riina e chiede: “Ma è vera la storia del bacio ad Andreotti?”. La risposta del capo dei capi è lapidaria: “Appuntato, lei mi vede a baciare Andreotti? Le posso solo dire che era un galantuomo e che io sono stato dell’area andreottiana da sempre“.