•Avevo 24 anni, quel giugno del ’70, e per la verità non ero un appassionato di calcio, come non lo sono ora. Forse non avrei neppure guardato la partita, se non fosse che per motivi di lavoro non potevo lasciare il mio posto. Ero un tenentino pilota dell’Aeronautica Militare, e quel giorno eravamo in turno di servizio di sorveglianza dello spazio aereo, un collega ed io, con due F-104 pronti a decollare in 5 minuti in caso di allarme se i radar della difesa aerea avessero segnalato una traccia di velivolo non identificato in avvicinamento, per difendere i cieli dell’Italia Centrale e per la protezione di Roma.
Ce ne stavamo equipaggiati di tutto punto, tuta anti-g e salvagente ascellare indossati, in una saletta con due brande, qualche sistema militare di comunicazione ed un televisore per combattere la noia, a 50 metri dagli aeroplani che con le loro lucine intermittenti ci segnalavano di essere pronti anche loro. Il mio collega, più anziano e dunque capo-allarme, e la squadretta di tre o quattro meccanici di supporto erano eccitatissimi fin dal mattino (il turno durava 24 ore) per la partita della sera ed io cominciavo a sentirmi coinvolto in questa cosa, non tanto per passione sportiva quanto – direi – per sentimento patriottico. Ma poi, per come andò la partita, altro che coinvolto! al momento dell’ultimo goal eravamo tutti lì, col fiato sospeso ed i nervi che generavano un campo magnetico capace di far saltare la sirena d’allarme, io ero in piedi appoggiato con le mani alla spalliera di una seggiola di legno (di proprietà dell’amministrazione) e quando il pallone entrò in rete la mandai letteralmente in frantumi sbattendola sul pavimento con quanta forza avevo in corpo.
Se in quel momento fosse arrivato l’allarme gli aeroplani sarebbero partiti da soli, perché il suono della sirena sarebbe stato coperto dal boato che si sollevò da tutta l’Italia.
Armando Armando