Andiamo a Berlino! Chiudete le valige, andiamo a Berlino! Con queste parole Caressa ci consiglia giustamente di andare a Berlino. Dai microfoni di Sky, con un enfasi che fa palpitare i cuori, e da quelli della Rai più controllati,ci giunge il medesimo invito. E’ chiaro ormai, siamo in finale! Dopo il raddoppio di Del Piero, tutto ci sorride, il nostro pianto di gioia si mescola con quello di dolore e delusione dei tedeschi. Un’ Italia fantastica, compie un’impresa da leggenda eliminando la Germania davanti al muro umano di Dortmund, davanti ad uno stadio ammutolito, che mai aveva visto una sconfitta della squadra di casa. La partita sostanzialmente equilibrata, si era accesa nei supplementari, dove il duello diventa incredibilmente affascinante, una sorta di duello a colpi di sciabola. Tremende stoccate volano da una parte e dall’altra, esaltando di volta in volta i vari protagonisti. Ed è in questi momenti che sussultiamo ai prodigiosi interventi di Buffon, mai come in questo momento numero uno al mondo. Poi, quando tutto sembra rinviato alla lotteria dei rigori, uno stremato Pirlo trova un’imbucata per Grosso, appena dentro l’area, leggermente spostato sulla destra. Qui, il nostro terzino accarezza la palla di sinistro, e la colloca nell’angolo opposto con una traiettoria telecomandata, che non da scampo a Lehmann. Qui ho avuto una strana sensazione, è come se tutta Italia si unisse in un unico boato, che paradossalmente sembrava un assordante silenzio. Le poltrone, le sedie, i divani nei salotti italiani, si sono svuotati, e ci siamo messi a correre dietro a Grosso, con le braccia al cielo, con il volto di colui che non crede in quello che è appena accaduto. Corri Grosso, corri ancora, perdi tempo, mancano pochi istanti, abbraccia tutti. Grosso però, cade sotto gli abbracci dei compagni, viene rialzato, la partita ricomincia. In questo momento, quella strana sensazione di silenzio ovattato dal boato assordante, si placa. Ma non c’è tempo per noi distratti, festanti, in canotta, fuori dai balconi, intenti ad esultare ancora.
Così all’improvviso: “Cannnavaro!, Cannnavaro!”. Abbiamo appena il tempo di ricomporci, tornare in noi, ma non possiamo sederci, l’adrenalina è a mille, e cosi, scorgiamo gli ultimi sussulti di una belva ferita, che non vuole arrendersi. Il capitano dà il là, ad un’azione di stampo rugbistico. “Cannnavaro…”, con tre enne, come lo pronuncia Caressa nell’enfasi della diretta, poi Totti, che allunga a Gilardino. Quando la palla arriva alla nostra punta, scorgiamo Del Piero lanciato come fosse su un binario morto, arrivare a tutto gas, con le ali sotto i piedi. Dai Gila, dagliela! Ora, dagliela! Poi, ricordiamo solo quell’interno destro che va a morire all’incrocio dei pali, un colpo dei suoi, forse il più bello del Pinturicchio bianconero. Non capiamo più nulla, il nostro urlo non è più un urlo, ci rimane in gola, abbiamo speso tutto un minuto prima. Ora lasciamo che sia la voce commossa e stravolta di chi commenta, a portarci idealmente a Berlino. Noi certo non andremo a Berlino, ci gusteremo la finale a Viserba, a pochi passi da Rimini.
Franco Ciarallo
Franco Ciarallo