Le riforme costituzionali e la legge elettorale sono una cosa troppo seria per diventare merce di scambio per battaglie interne ad un partito o per manovre in funzione di vecchie e nuove maggioranze, dopo essere già state malamente usate da Renzi come strumento propagandistico che gli si è ritorto pesantemente contro.
Sono passati solo pochi giorni ma sembra un’altra era politica quando Renzi, defilato dalla campagna delle amministrative, dove i candidati sindaci cercavano di schivarlo, si concentrava al convegno dei giovani di Confindustria con accenti da ultima spiaggia sulla riforma costituzionale “spartiacque della governabilità del paese, arma contro gli inciuci e le ammucchiate del giorno dopo il voto, decisiva per l’Italia, perché oggi il sistema è programmato per non far funzionare nulla mentre chi verrà dopo di me dovrà solo pigiare un tasto”.
Quando parlava della bocciatura della riforma Costituzionale come un pericolo per la governabilità e una minaccia per lo sviluppo del paese ed illustrava “le magnifiche sorti e progressive” delle sue riforme il presidente del Consiglio includeva nel pacchetto riformatore l’Italicum, formalmente in vigore dal 1° luglio, celebrato da sempre come la legge in grado, grazie al ballottaggio e al superlativo premio di maggioranza annesso, di far sapere ai cittadini la sera dello spoglio da chi saranno governati.
Solo che in giugno nel corso del suo “tour economico” per l’Italia, dopo le premesse autocelebrative (“In 70 anni nessuno ha fatto meglio di noi”) e le valutazioni catastrofiche (“se vince il No in Europa non ci fila più nessuno e l’Italia diventa ingovernabile”), poteva ancora azzardare in vista dei ballottaggi, quello che oggi è semplicemente assurdo, anche per lui.
Prima dei risultati di Roma e di Torino, forse per farsi coraggio, sosteneva ancora che “laddove ci fosse un ballottaggio a livello nazionale sarebbe tra Pd e centrodestra”. Oggi Renzi e il Pd devono fare i conti con l’aria che tira e con i sondaggi, l’ultimo quello di Demos per Repubblica che registra un incremento di 5 punti per il M5S al 32% e attribuisce al partito di Renzi il 30%: ed il centrodestra anche mettendo insieme tutti resterebbe escluso. L’Italicum, costruito sulle esigenze e le prospettive del Pd delle Europee al 40%, oggi stando alle rilevazioni con tutti i noti limiti, garantirebbe al ballottaggio al Movimento fondato da Grillo ben 10 punti di vantaggio: 54,7% a 45,3%.
L’Italicum non è una buona legge, né se fa vincere Renzi né se fa vincere il M5S e la minoranza del Pd che si è sempre dichiarata contraria (ed in parte ha votato contro) e ne ha rilevato i numerosi limiti, che ovviamente non si esauriscono nel premio di maggioranza alla lista piuttosto che alla coalizione, fa bene a chiedere modifiche molto in extremis purché riguardino in primis la quota insostenibile dei nominati.
Il sospetto abbastanza legittimo è che i giochi si possano riaprire solo per sbarrare la strada al M5S e per dare a Renzi la magra opportunità di aggregare alfaniani, verdiniani e/o affini per supplire alle manifeste defaillances di un Pd che non è nemmeno più una foto sbiadita del partito trionfatore delle Europee.
Ma il pericolo da scongiurare è la realizzazione di una sorta di scambio tra “modifiche” più o meno di facciata all’Italicum e un “ammorbidimento” o sostegno da parte di minoranza, sinistra e dissidenti a titolo personale all’interno del partito ad una riforma Costituzionale destinata ad incidere potenzialmente in modo permanente e con effetti gravemente controproducenti oltre che lesivi della rappresentanza nel nostro ordinamento.