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Tour de France 2016, pronti, via. Undici nomi per la maglia gialla

Il Tour numero 103 sta per partire da Mont Saint Michel ma, senza nulla togliere al fascino del luogo, si sarebbe potuti partire dall’autodromo di Le Mans, nemmeno 200 chilometri più a Est. La mia è una metafora che vede la folta schiera di pretendenti alla maglia gialla schierata sulla griglia di partenza di un gran premio motoristico. Le vetture, si sa, rombano in attesa del semaforo verde, i ciclisti? Scalpitano penserà qualcuno, ma non sarà meglio dire fremono? Forse anche di più perché il Tour che parte il 2 luglio vede su questa griglia, tutti, ma proprio tutti, coloro che per definizione sono corridori da corsa a tappe, alcuni di essi, veri campioni. Scorrendo l’albo d’oro dei tre grandi giri (Giro, Tour e Vuelta), nelle ultime undici edizioni troviamo tre successi a testa per Nibali e Contador, due per Chris Froome e uno a testa per Aru e Quintana (quella mancante è la Vuelta di Horner ma sorvoliamo). Questi ci saranno tutti e, fatemelo dire, difficilmente il nome del vincitore uscirà da questa cinquina.

A smontare le mie certezze e dare un senso a quel “difficilmente” che salva ogni pronostico da inevitabili sorprese, provo a trovare altri cinque elementi che completeranno la mia griglia di partenza ideale. Tejay Van Garderen e Richie Porte sono la coppia della Bmc, una sorta di replica della coppia dell’Astana (Aru-Nibali) con meno titoli in bacheca e nell’eterna attesa di sbocciare. Uno dei due potrebbe finalmente farcela a non pescare il giorno di crisi che, nei tentativi precedenti, ha distrutto ambizioni e sogni. Siamo già a sette pretendenti e so già che fermarmi a dieci sarà dura. Motivazione, orgoglio, patriottismo e voglia di “cancellare” quel nome così ingombrante che dal 1985 risulta essere l’ultimo francese vincitore del Tour, Bernard Hinault. Da questi presupposti e con i lampi di talento puro che hanno, Pinot e Bardet lanciano l’assalto alla maglia gialla. Entrambi sono nati nel 1990, come Quintana per intenderci, ma non hanno dimostrato, in passato, di avere la “maturità” del colombiano (forse nemmeno le gambe). Fossi in loro, tenterei un’alleanza impossibile e clandestina perché gli avversari sono troppi e perché un podio, seppur prestigioso, non cancellerebbe Hinault che ogni anno, dal 1985 ad oggi, è lì a ridersela sul podio delle premiazioni. Siamo a nove e adesso scelgo una coppia spagnola: Alejandro Valverde, non puoi mai escluderlo anche se di Grandi Giri ne ha vinto solo uno (Vuelta 2009).

Chi non ne ha mai vinti, pur meritandoli, è Joaquim Rodríguez. Il capitano della Katusha ha 37 anni ma è il mio nome a effetto, quello che azzecca la partenza del gran premio nonostante parta in sesta fila (11°). Arriva a fari spenti, nel 2016 si è intravisto alla Liegi (8°) e dichiara di non avere ambizioni di classifica. Punta alle tappe, vuole vincere quelle. Proprio guardando le tappe di questo Tour e non fidandomi di “Purito”, vedo una rampa nella seconda frazione che potrebbe spingerlo subito avanti, l’arrivo della nona tappa ad Andorra, praticamente a casa sua, e pochi chilometri a cronometro sono dalla sua. Bourg Saint Andéol-La Caverne du Pont d’Arc e lunga 37,5 chilometri e arriva dopo il Mont Ventoux, può limitare i danni, l’altra sfida contro il tempo è una cronoscalata, quasi un’occasione per un Joaquim Rodríguez ancora in palla alla 17esima tappa. Eccoli lì, sulla griglia di partenza: prima fila con Froome e Quintana, seconda con Contador e Aru, terza con Nibali e Porte, i due francesi in quarta, Van Garderen e Valverde in quinta e dietro tutti Rodríguez. Sono 11 nomi per una maglia, in pratica una squadra di calcio che, in tempi di europei francesi ci consentirebbe di giocare ancora piazzandoli anche su un campo di calcio. Lasciamo tutti al loro posto e basta giocare perché dal 2 luglio si fa sul serio, 3535 chilometri in sella non sono di certo uno scherzo.