Musica

Vinicio Capossela, le “Canzoni della Cupa” live: “Spero che chi esce da questo concerto si senta sporco di paglia”

Lo spettacolo vuole “porre l’accento sulla nostra matericità, perché siamo qualcosa che la vita manda in polvere” , e ci riesce benissimo. Si viene rapiti, fatti stancare sotto il sole perpendicolare della fatica e raggirati dalla paura e la seduzione dell’ombra

Scacco matto. Vinicio Capossela inchioda chiunque davanti al fatto compiuto, alle pulsioni che arrivano da sopra e sotto la cintola, ai ricordi delle stradine addobbate dei piccoli centri, all’odore acre del caldo. Torrido. Rapisce qualsiasi assetto con il quale uno spettatore possa arrivare al concerto, persino il peggiore; se lo mangia, e probabilmente lo risputa pure. Uno stregone. Sarà la forza delle terra, delle radici che nomina spesso, quelle che porta in scena nello spettacolo “Polvere”, la versione estiva del tour dedicato a “Canzoni della Cupa”, il suo ultimo lavoro. Un doppio disco, diviso in due parti, anzi lati, come dice lui stesso: “Polvere” appunto, e “Ombra” (che sarà il titolo del tour invernale).

Spero che chi esce da questo concerto si senta sporco di paglia” dice Capossela ai giornalisti indossando ancora uno dei cappelli di scena. Pieno, neanche a farlo apposta, di paglia.
Sì, ci si sente sporchi di paglia, fradici di sudore. Come bimbi, sorridenti davanti a una giostra sgangherata e intimiditi dai personaggi leggendari e oscuri che ogni tradizione ha nella propria cartucciera. Quella che Capossela porta a casa con le “Canzoni della Cupa”, e ancor di più con la loro interpretazione dal vivo, è un’operazione di localismo spinto, d’indagine quasi antropologica della cultura delle terre d’Italia, quelle dov’è cresciuto o che ha amato.

Molti dei brani sono ispirati al canto tradizionale, altri direttamente all’opera di Matteo Salvatore: sono tutti animati da creature vissute per diventare poi leggenda. Come “Maloservizio”, al quale hanno tirato un brutto tiro nel giorno delle nozze (anzi, sposalizio). Nel libretto dell’album sono tutte messe in fila in un indice, queste creature, al fianco dei luoghi, citati su una mappa di dantesca ispirazione. Occhi, braccia, mani, che Capossela definisce appartenenti a “un tempo immobile”: “Non stai parlando della tua fidanzata che ti lascia, e tu fra un mese non avrai più quel tipo di urgenza. Questo è un tempo immobile al quale si torna. Lo si trova quando serve, come la zappa”.

Fa di tutto per ricreare quest’atmosfera: un cranio di vacca, scheletri di luminarie, spighe di grano ovunque, sono sul palco. I costumi degli undici musicisti, punte di diamante dal primo all’ultimo, parlano di mondi di frontiera. Lo spettacolo vuole “porre l’accento sulla nostra matericità, perché siamo qualcosa che la vita manda in polvere” , e ci riesce benissino.
Si viene rapiti, fatti stancare sotto il sole perpendicolare della fatica e raggirati dalla paura e la seduzione dell’ombra. Tirati dentro riti dionisiaci e lasciati ansimanti su un campo. Tutto insieme, un brano via l’altro, in questo spettacolo arido, accogliente e cattivissimo, che si chiude con alcune delle più celebri canzoni dell’artista (tra le altre Marajà, Il ballo di San Vito, L’uomo solo), dopo aver trascinato tutti per i sentieri della Cupa.

Una grande festa del paese. “Il folklorismo è una casa che io ho in orrore, mentre la radice folklorica è qualcosa che attinge dal particolare e si rimodula nell’universale” dice, citando di seguito De Martino. Perché “i localismi sono qualcosa d’importante” e “la burocrazia deve garantire la libera circolazione, ma non omologazione del linguaggio”. Perché c’è un modo di usare i localismi “che non è politico, ma culturale”. Frontiere, migrazioni e quindi, inevitabilmente, ancora una volta, terra: “Non bisogna pensare solo alla gente che arriva, ma a cosa lascia, come i flussi economici che svuotano terre intere, paesi, comunità. A quel punto, la comunità si riforma soltanto nel racconto”. Il racconto di un tempo immobile.

 Le prossime date del tour: l’11 luglio in Piazza degli Scacchi a Marostica (Vicenza), il 13 luglio in Piazza Napoleone al Summer Festival a Lucca, il 15 luglio al Castello Scaligero di Villafranca (Verona), il 16 luglio in Piazza della Cattedrale ad Asti, il 19 luglio in Piazza della Loggia a Brescia, il 20 luglio al Flowers Festival di Collegno (Torino), il 24 luglio in Piazza Matteotti a Sogliano al Rubicone (Forlì-Cesena), il 29 luglio all’Arena Sant’Elia di Cagliari, il 5 agosto all’Arena Bolgheri di Bolgheri (Livorno), il 6 agosto all’Arena del Mare di Civitanova Marche (Macerata), il 9 agosto al Teatro D’Annunzio di Pescara, il 13 agosto al Forum Eventi di San Pancrazio (Brindisi), il 18 agosto alla Summer Arena di Soverato (Catanzaro), il 20 agosto al Teatro Verdura di Palermo, il 21 agosto al Teatro Antico di Taormina, il 29 agosto al Beat Festival di Empoli, il 3 settembre a FestaReggio di Reggio Emilia e il 4 settembre all’Home Festival di Treviso.