Entrambi pubblicati in Italia da Metropoli d’Asia, Claire Tham e Kim Young-Ha, sono tra gli scrittori asiatici contemporanei che maggiormente mi hanno colpito per l’originalità delle loro storie e per la capacità di riuscire, attraverso linguaggi immediati, a denunciare sistemi opprimenti e corrotti senza mai cadere nei tanti luoghi comuni a cui un’operazione del genere può portare.
Ispirato a un fatto di cronaca, il testo di Claire Tham è un sapiente atto di denuncia nei confronti di un sistema sociale, economico e politico, quello della città-Stato, ormai incapace di contenere le nuove forme di melting pot e di progresso sostenibile. Gli attori del libro, dall’alternativo vicecommissario Cheung Fai al commissario convenzionale Winston Heng, dall’esplosivo Willy Gan al crepuscolare tassista ML, sono tutti tratteggiati in modo esemplare. E, tra luci al neon che si rispecchiano nelle pozzanghere dell’alba, odori di street-food, scorci di mare, uomini soli incapaci di non ripetere uno schema quotidiano fatto di uffici cunicolari e perdite al casinò, il romanzo, con sguardo caustico sulle sfaccettature della natura umana, si sviluppa grazie a un ritmo ammaliante, fatto di armonie orientali e improvvisazioni jazz.
Kim è ormai un anziano malato di Alzheimer che cerca di aggrapparsi ai ricordi, alle sue giovanili passioni letterarie e poetiche, ai dettagli dei suoi omicidi e delle sue relazioni sociali. Vive con la figlia adottiva, che Kim pensa essere in pericolo di vita, entrata nelle ottiche omicide di un novello assassino seriale che si aggirerebbe nei paraggi. Attraverso una narrazione in prima persona, Kim Young-ha ci fa vivere le debolezze e le dimenticanze di quest’anima nera, incapace di amare, che vive un’esistenza allucinata e devastata. Fino a un finale a sorpresa che cancella ogni sicurezza a cui si era aggrappato il lettore.