di Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia
L’industria italiana del tessile-moda è un comparto produttivo di enorme importanza per l’economia del nostro Paese. Parliamo di cifre che raggiungono i 52,4 miliardi di produzione nel 2015, di 402.700 occupati e di un saldo della bilancia commerciale di più di 8,5 miliardi. Il settore tradizionalmente genera un surplus della bilancia commerciale secondo soltanto a quello della meccanica. Il sistema deve la sua competitività a livello internazionale agli investimenti in innovazione, alla ricerca e sviluppo del prodotto, alla tradizione del gusto produttivo, al know how e alla sinergica collaborazione fra le diverse fasi della filiera sino all’integrazione con il retail.
L’offerta italiana si colloca sulla fascia alta di prodotto e si rivolge sia ai tradizionali mercati di sbocco di Europa, Russia, Stati Uniti e Giappone, sia a nuove realtà emergenti: di particolare rilievo il ruolo giocato nella recente crescita delle esportazioni dai mercati asiatici, in particolare paesi dell’Asia e Cina, oltre ovviamente al Giappone. Su questi mercati un nutrito numero di aziende, generalmente medio-grandi, è riuscito a conseguire ottimi risultati grazie a un continuo processo di qualificazione del prodotto e a un posizionamento dell’offerta sui segmenti a maggior valore aggiunto.
A fronte di un profilo lento di crescita dei mercati maturi, si prefigurano interessanti opportunità sui mercati emergenti, a condizione che le imprese riescano a cogliere le ampie possibilità offerte dal processo di crescita dei redditi dei consumatori di questi Paesi, avvicinandoli all’offerta del Made in Italy. Le cifre testimoniano che in questo ambito l’Italia rappresenta un’eccellenza mondiale, in crescita sia nella produzione sia nell’export. Purtroppo i numeri degli anni precedenti, non martoriati dalla crisi mondiale, sono diversi. E questo ha portato a una diminuzione di aziende e occupati importante. Innanzitutto, il 2015, dai dati di Smi (Sistema Moda Italia), presenta un fatturato moderatamente in crescita (+0,6%) rispetto allo stesso dato del 2014. Sono circa 330 milioni in più suddivisi tra il tessile (in crescita dello 0,4%) e abbigliamento-moda (che aumenta dello 0,8%), con non pochi comparti di cui si compone l’articolata filiera a livello nazionale che chiudono l’anno in perdita.
Nello stesso anno l’export, cresciuto del +2,1% malgrado un forte calo nel terzo trimestre, passa a 29.056 milioni di euro, assicurando così un’incidenza del 55,5% sul fatturato totale. L’Italia è il terzo esportatore mondiale nel settore tessile-abbigliamento dopo Cina e Germania. Il commercio in ambito comunitario ha evidenziato un aumento più vivace, pari al +2,5%, mentre quello extra UE è cresciuto mediamente del +1,6%. L’import si conferma in crescita nella misura non irrilevante del +5,4%; l’import di produzioni tessili assiste ad un incremento pari al +2,7%, mentre quello di capi finiti al +6,7%. Il calo più doloroso è quello del mercato domestico che, nel comparto tessile-abbigliamento interno (relativo dunque alle famiglie residenti) registra una nuova contrazione, pur minore rispetto agli anni più recenti, corrispondente al -2,0% in termini correnti.
Le elaborazioni statistiche di Smi sui dati di fonte camerale ci dicono che il numero delle aziende mostra una contrazione media annua pari al -1,1% (ovvero corrispondente a 540 unità cessate), il che porta a stimare in 47.079 le imprese attive (industriali e non). Se invece ci soffermiamo sui numeri del lavoro, gli occupati scendono a 402.770 circa, facendo registrare una flessione dello -0,9%, cui corrisponde una perdita occupazionale di oltre 3.600 lavoratori.
Nel periodo che va da gennaio a marzo 2016, l’export è segnato da una bassa crescita, circa +0,8%, mentre l’import inverte il trend e segna una battuta d’arresto, pari allo -0,7% (dato in crescita invece dell’ 8,2% nel primo trimestre 2015). Relativamente alle vendite all’estero, i due macrocomparti della filiera, ovvero il tessile e l’abbigliamento-moda, segnano rispettivamente un aumento del +3,5% e una frenata al -0,5%. Dall’altro lato, l’import di semilavorati tessili cresce del 3% mentre quello di capi finiti cede il 2,5%.
Se analizziamo ora i risultati dei top brands, un panel di 35 aziende quotate della moda e del lusso evidenzia che il fatturato dei principali player italiani abbia messo a segno un +11,5%, superando i 21,8 miliardi di euro, mentre quelli europei hanno registrato un incremento del 15,3% a 122,8 miliardi. Negli USA, invece, il rafforzamento del dollaro ha impattato sulle performance dei vari gruppi, che sono cresciuti di appena lo 0,2%. Per quanto riguarda i fatturati, i maggiori player italiani del 2015 sono Luxottica (con 8,8 miliardi di euro), Prada (con 3,5 miliardi di euro) e Salvatore Ferragamo (con 1,4 miliardi). La maggiore percentuale di incremento è di Moncler, con un giro d’affari cresciuto del 26,8% a 880 milioni di euro.
Tra i gruppi europei, i maggiori per giro d’affari sono, nell’ordine, il colosso francese del lusso Lvmh (a 35,6 miliardi di euro), la spagnola Inditex (a 20,9 miliardi) e la svedese H&M (a 19,6 miliardi), mentre a vantare la crescita maggiore c’è Pandora, il cui giro d’affari aumenta del 40,2% a 2,2 miliardi di euro.
Negli Stati Uniti infine, le principali aziende per fatturato sono Gap con 14,4 miliardi di euro,Vf Corporation con 11,2 miliardi e Limited Brands, la controllante del marchio Victoria’s Secret, con 11,1 miliardi.