L'inchiesta ipotizza la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, i finanziamenti ottenuti dall’azienda nel settembre 2011 attraverso "artifici contabili, false attestazioni e falsi nel bilancio di esercizio". Due gli indagati. Nominato un amministratore giudiziario per la gestione dell’azienda
Trucchi contabili per ottenere denaro pubblico. Questa l’accusa al centro dell’indagine che vede coinvolta l’azienda Parmacotto, uno dei più famosi marchi italiani di prosciutto cotto. La Guardia di finanza ha operato un blitz nella sede di Parma, sequestrando patrimoni per un equivalente di circa 11 milioni di euro, in esecuzione di un provvedimento urgente della Procura di Parma.
L’inchiesta ipotizza la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, i finanziamenti ottenuti dall’azienda nel settembre 2011 attraverso “artifici contabili, false attestazioni e falsi nel bilancio di esercizio”. Due gli indagati. Nominato un amministratore giudiziario per la gestione dell’azienda.
I dirigenti dell’azienda, secondo l’ipotesi degli inquirenti, erano riusciti a far apparire la situazione economico-patrimoniale talmente fiorente da indurre in errore la Simest, ente del ministero dello Sviluppo economico (che ha finalità di sostenere e sviluppare investimenti produttivi e programmi di sviluppo di aziende italiane sane e redditizie), per erogare su richiesta della stessa Parmacotto il finanziamento di 11 milioni di euro. Questa liquidità finanziaria, in tutto e per tutto “denaro pubblico”, è stata concessa nel settembre del 2011 grazie ad un bilancio non rispondente alla reale situazione economica e finanziaria dell’azienda: in particolare, in quell’anno, gli amministratori avevano rinviato a esercizi futuri costi di gestione già certi, evitando così di far apparire una consistente perdita di esercizio.
La situazione critica è poi esplosa nel 2014 quando la società si è vista costretta a ricorrere alla procedura, prevista dalla legge fallimentare, del “concordato preventivo in continuità“, per le enormi perdite non più “occultabili”. Il reato configurato dalla Procura della Repubblica è quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, commesso dai due amministratori, ora indagati. L’azienda ai tempi indicati dall’indagine era diretta da Marco Rosi.
L’azienda sotto sequestro non cesserà comunque la propria attività. Il complesso dei beni aziendali (disponibilità finanziarie, quote societarie, beni mobili e immobili, ecc), sottoposti a vincolo giudiziario, verranno utilizzati e gestiti sotto il controllo di un amministratore giudiziario, professionista del settore, appositamente nominato dalla Procura della Repubblica, per garantire la continuità e lo sviluppo aziendale e sino al completo recupero, da parte dello Stato, delle somme illecitamente percepite dalla società.