Cominciamo a intravedere il sapore editoriale, lato intrattenimento, della nuova dirigenza della Rai. Lo sforzo c’è, il risultato ovviamente lo si vedrà. Intanto il pane più duro è ancora sotto i denti, e si tratta dell’assetto dell’informazione, dove si incrociano questioni organizzative, culturali, sociali e politiche. La peggiore gatta da pelare, insomma, che si frapponga fra l’azienda del passato e il tentativo di averne una versione nel futuro. Sul piano organizzativo si è detto e ridetto, ma tra molti assordanti e complici silenzi e qui c’entra il piano politico, che i TG Rai sono troppi (per numero di Testate e di edizioni), con un moltiplicatore di spesa micidiale perché per tutti vige il sistema “dall’alba a notte fonda”; con turni su turni di redattori, operatori, montatori in parallelo sui tre canali e su quello All News a macinare straordinari su straordinari.

Per non dire delle 23 redazioni locali (in UK e Francia sono la metà). Una macchina di spreco alla quale non si può chiedere più efficienza, perché lo “spreco” sta nella sua stessa concezione e struttura. Tutto nato in epoche lontane non per essere “smart e penetrante”, ma piuttosto per “esistere” a prescindere, come si trattasse di Istituzioni anziché di rami d’industria. Sul piano “sociale” irrompono, e non da oggi perché lo si sa da molto tempo, le difficoltà dell’INPGI, l’Ente Previdenziale dei giornalisti che, in questi tempi resi calamitosi da internet e dalla crisi del giornalismo classico, vede lo spettro del passivo, mettendo a rischio pensioni e prestazioni sanitarie. Quanto meno per questo, è certo che alla Rai non sarà mai permesso di procedere a tagli di organici che taglierebbero anche il flusso dei contributi all’Ente Previdenziale. Così, per non restare sequestrata dal suo passato, alla Rai non resta che la faticosissima strada della riconversione delle strutture e del personale giornalistico da quel che fanno ad altro che sarebbe utile facessero. E qui intervengono, finalmente, i profili culturali, in larga parte ancora da esplorare, di cosa sia oggi il rapporto fra notizie, e lavoro di scavo, fra cura del pluralismo e efficacia della narrazione.

E non è che dalla Rai possano andare a chiedere le ricette alla stampa, che a questo riguarda è da anni nella classica e penosa condizione del mendicante cieco riguardo a cosa dire, come dirlo e, soprattutto, come farsi pagare. È per questo che ad autunno ci godremo saltuariamente il Rischiatutto di Fabio Fazio e altre cose carine che intravediamo. Ma sapendo che il vero rischiatutto è quello dove trillano non le trombe di Turchetti, ma le innumerevoli sigle dei tg.

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