Wimbledon 2016 entra nel vivo e l’Italia fa le valigie: tutti gli azzurri sono già stati eliminati dal torneo. Prevedibile, quasi scontato: negli Anni Duemila soltanto in due occasioni (Andreas Seppi nel 2013, Gianluca Pozzi nel lontano 2000) un giocatore italiano è riuscito a raggiungere gli ottavi di finale e la seconda settimana di torneo. È andata un po’ meglio fra le donne, in un panorama meno competitivo, con le varie Vinci, Pennetta, Schiavone, Giorgi e Knapp; anche se soltanto Silvia Farina nel 2004 si è spinta fino ai quarti. Eppure c’è stato un momento in cui l’Italia del tennis si era illusa che le cose potessero cambiare: Wimbledon 2013, Gianluigi Quinzi trionfa nel singolare juniores. Un risultato storico, che aveva fatto sperare tutto un movimento. Tre anni dopo, l’Italia a Wimbledon è ancora solo una comparsa. Mentre di Quinzi si sono perse le tracce.
In realtà, il talento nato a Cittadella e cresciuto a Porto San Giorgio non è sparito nel nulla. Ha da poco compiuto 20 anni e continua a giocare a tennis. Solo, a livelli troppo bassi per potersene accorgere. In questo momento è il numero 391 del ranking Atp, la scorsa settimana mentre tutti i fari erano puntati sui Championships di Londra, lui era impegnato nel piccolo Challenger di Milano, dove ha perso al primo turno contro l’argentino Carlos Berloq. Così ha passato anche gli ultimi due anni, tra alti (pochi) e bassi (tanti) in tornei di periferia, spesso anche piccoli Futures (la terza categoria della piramide, dietro Atp e Challenger). Quinzi, che l’8 luglio del 2013 (il giorno dopo la vittoria a Wimbledon) era già n. 404 del mondo, praticamente non ha fatto nessun passo avanti in tutto questo tempo. Mentre i suoi compagni di allora hanno fatto molta strada.
Il coreano Chung Hyeon, da lui battuto in finale, oggi è già n. 107 del ranking e gioca abitualmente i tornei del circuito maggiore. Kyle Edmund, avversario in semifinale, è appena entrato nei primi 70. Ma soprattutto al via di quella ricca edizione juniores c’erano quasi tutti i nomi della new generation che si prepara a raccogliere l’eredità dei vari Djokovic, Federer e Nadal. La prima testa di serie era l’australiano Nick Kyrgios, che a Wimbledon adesso se la gioca con Murray; poi c’erano anche l’astro nascente tedesco Alexander Zverev e la stellina croata Borna Coric. È la nidiata dei classe ’95-’97, di cui Gianluigi Quinzi era uno degli esponenti più promettenti. Cosa gli sia successo è un mistero. O meglio, una delle tante storie italiane di talenti sprecati. Qualche infortunio fastidioso alla spalla e al polso. Una girandola di cambi allenatori, tutti infruttuosi per la sua crescita. Le vittorie che non arrivano, le sconfitte che si moltiplicano e lo fanno impantanare in quel guado di semiprofessionismo da cui è difficile uscire. Così, mentre i suoi coetanei sono diventati giocatori veri, o addirittura prospetti di campione, lui è scomparso nel nulla.
Negli ultimi mesi, però, Quinzi è tornato a dare qualche notizia di sé. Tra marzo e maggio ha inanellato una serie di 14 vittorie in 15 partite: vero, tutte in piccoli tornei Futures in Ungheria, Israele o Bosnia, e contro avversari modesti, ma pur sempre un segnale incoraggiante. Poi a giugno è arrivato ai quarti al Challenger di Caltanisetta, dove per la prima volta in carriera ha battuto un Top 100 (l’argentino Facundo Bagnis). Un’inversione di tendenza che è coincisa con il passaggio sotto l’ala di Ronnie Leitgeb, in passato già coach di Thomas Muster e di un altro numero uno juniores che sembrava aver smarrito la via: quell’Andrea Gaudenzi che poi è stato a lungo il miglior tennista italiano. Ecco, la speranza è che Quinzi possa ripercorrere la stessa strada: a soli 20 anni ha tutta la carriera ancora davanti. Probabilmente si è capito che non sarà mai un campionissimo, ma può ancora diventare un giocatore vero. L’Italia del tennis continua ad aspettarlo. Magari per tornare protagonista anche a Wimbledon.