Dalla crisi legata al flusso dei migranti fino ad arrivare alla Brexit, l’Europa vive un momento cruciale a cui si aggiunge il problema terrorismo. Diversi responsabili politici dell’Ue premono da tempo per un unico settore europeo in materia di difesa senza più frammentazioni. Il governo tedesco ha approvato un documento strategico che chiede, tra l’altro, una maggiore integrazione, in particolare all’interno dei singoli Stati membri. Inoltre alla Conferenza di Berlino dello scorso novembre, Thomas Homberg, di Mbda Deutschland, azienda leader nella produzione di sistemi missilistici della Germania, è andato oltre ritenendola l’unica opzione praticabile.
Nel mese di gennaio, Rheinmetall Defence ha annunciato un piano per consolidare la sua vasta produzione di veicoli militari mettendo Rheinmetall Landsysteme (Rls) e Rheinmetall Man Veicoli Militari (Rmmv) in gestione congiunta. Unendo entrambi si produrranno veicoli militari cingolati e gommati per un fatturato annuo stimato di 1,4 miliardi di euro nel corso dell’esercizio 2016. Il portafoglio combinato include carri armati e veicoli blindati, veicoli da combattimento di fanteria, etc.
Una azione simile si è verificata lo scorso anno con la fusione franco-tedesca di Nexter e Krauss-Maffei Wegmann (KMW), per creare quello che alcuni, in particolare in Francia, hanno definito un nuovo “Airbus for tanks”. Il ministro della Difesa dem Roberta Pinotti, nel suo discorso alla conferenza sulla Sicurezza e Difesa europea organizzata dal think tank Chatham House, ha posto l’accento su una sicurezza europea partecipata: “La missione EUNAVFORMED “Sophia”, rappresenta, al momento, l’esempio di più intensa cooperazione, con 22 Paesi dell’Unione che contribuiscono a uno sforzo comune per la sorveglianza marittima e il contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo”, ha detto.
Con la firma del Trattato di Maastricht nel 1992, l’Unione Europea si era prefissata l’obiettivo di “affermare la sua identità sulla scena internazionale, segnatamente mediante l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune che potrebbe, successivamente, condurre ad una difesa comune”. L’Ueo non aveva un vero e proprio esercito, ma grazie alla cooperazione tra i vari stati è riuscita ad affrontare importanti interventi di peacekeeping e missioni umanitarie.
Oggi dopo la Brexit, dell’emarginazione di Londra dal settore militare europeo ne soffrirebbe soprattutto l’intesa con Parigi con la possibilità di indurre i francesi a sostituire i britannici con partner tedeschi e italiani in numerosi programma. Con la Brexit verranno liberati negli organismi militari Ue posti oggi assegnati a ufficiali del Regno Unito lasciando più spazio ad altri Paesi, inclusa potenzialmente anche l’Italia che senza Londra diventa la terza “potenza” europea in termini economici e militari.
Che si creda o no nell’Europa come soggetto geopolitico, o in una politica di difesa comune, la Brexit lascerà campo a nuovi accordi e l’industria militare si sta già rimodellando in una ottica partecipata ridefinendo accordi e programmi futuri. Secondo alcuni si ritiene oggi necessaria la creazione di uno stato maggiore delle forze armate dell’UE, in modo che i paesi-membri possano pianificare e gestire le proprie operazioni senza ricorrere alle risorse e alle capacità della Nato.
Uno dei paesi più motivati alla creazione di un esercito europeo resta comunque la Germania le cui aziende del settore stanno lavorando già in questa ottica. Quando alla fine degli anni Novanta venne firmata la dichiarazione di St.Malo, prima a dare impulso a una difesa comune europea, Francia e Gran Bretagna (i Paesi firmatari) miravano a guidare l’Unione in questo percorso di rafforzamento. Dopo la Brexit alla Francia toccherà ora guardare alla Germania per ricostituire il nocciolo del vecchio nucleo carolingio, base storica dell’Europa. E l’Italia?