La moda muove i primi passi per essere più green. È quanto emerge dalla terza edizione della Sfilata Detox, con cui Greenpeace pubblica la classifica dei grandi marchi di fashion che più di tutti hanno tenuto fede agli impegni sottoscritti nell’ambito di una campagna lanciata dall’organizzazione non governativa a favore della completa eliminazione delle sostanze tossiche. Tra i 19 brand che hanno aderito e di cui sono stati valutati i progressi, i migliori sono risultati Benetton, Zara (del gruppo Inditex) e H&M, che l’associazione ha definito marchi “all’Avanguardia”.

Sul fronte opposto Esprit, Nike, Victoria’s Secret e LiNing, finiti nella categoria “Retrovie” perché non hanno compiuto i passi necessari ad impedire l’inquinamento da sostanze chimiche generato dalle loro filiere produttive. Ci sono poi altri 12 brand che qualcosa hanno fatto, ma non ancora abbastanza e sono nella categoria “La moda che cambia”. Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia ha sottolineato l’impegno di Benetton, H&M e Zara “per come stanno guidando l’intero settore e imponendo un nuovo standard a livello mondiale”. Greenpeace, infine, lancia un appello a tutti quei marchi, anche italiani, che non hanno ancora aderito alla campagna.

Detox my fashion: combattere l’inquinamento delle acque – Il progetto è nato nel luglio del 2011, con la campagna “Detox my fashion” lanciata da Greenpeace a favore di una moda libera da sostanze tossiche. Un’iniziativa nata per dare una risposta concreta a diversi problemi ambientali. “Per decenni le industrie tessili – spiega l’organizzazione non governativa – hanno utilizzato l’ambiente e, in particolare, i corsi d’acqua di tutto il mondo come delle vere e proprie discariche a cielo aperto, pratica resa possibile da leggi e regolamentazioni insufficienti”. Tutto ciò con conseguenze disastrose per le comunità che vivono nei pressi dei complessi manifatturieri. “Combattere l’inquinamento delle acque causato dall’industria tessile e dell’abbigliamento – ha spiegato Ungherese – è diventata un’emergenza ambientale sempre più urgente, specialmente in Paesi come la Cina dove più dell’80 per cento delle acque di falda non è potabile”. Secondo un’analisi pubblicata quest’anno dal ministero per le Risorse Idriche cinese, i quattro quinti dell’acqua proveniente da pozzi in Cina non è sicura a causa dell’inquinamento. Qualcosa, però, si sta muovendo. Negli ultimi anni la campagna ha visto 76 marchi internazionali sottoscrivere l’impegno Detox e ha generato importanti cambiamenti anche a livello legislativo sia in Europa che in Asia.

I criteri: eliminare sostanze pericolose e garantire trasparenza – Tra le aziende del nostro Paese che hanno firmato l’impegno, oltre a marchi famosi come Benetton, Valentino e Miroglio, ci sono 50 aziende tessili, 27 delle quali appartengono al distretto di Prato, il più grande d’Europa. Greenpeace ha valutato le prestazioni delle aziende secondo criteri specifici: il rispetto del programma Detox fino al 2020, l’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose dai loro prodotti e dai processi produttivi e la pubblicazione di informazioni trasparenti sugli scarichi di sostanze tossiche da parte dei propri fornitori. I marchi internazionali e i loro fornitori hanno sviluppato differenti forme di collaborazione per raggiungere l’obiettivo comune della completa eliminazione delle sostanze tossiche entro il 2020.

Bisogna intanto garantire che alcuni aspetti critici vengano presi in esame: assicurarsi che la contaminazione da sostanze chimiche pericolose sia il più vicino possibile allo zero, utilizzare un approccio basato sull’analisi dei rischi quando vengono selezionate nuove sostanze da eliminare, creare una rete di sicurezza che analizzi le acque di scarico prima della loro depurazione in modo da poter individuare ogni forma di contaminazione non intenzionale. Questa è la dinamica che ha preso forma con l’impegno Detox del distretto tessile di Prato. L’accordo sottoscritto dalle ventisette aziende pratesi avrà un forte impatto positivo su grossi volumi di materie prime prodotte ogni anno: 15mila tonnellate di filati e materie prime e 24 milioni di metri quadri di tessuto.

Le altre performance – I 12 marchi che si trovano nella categoria “La moda che cambia”, nonostante i numerosi progressi “devono migliorare in almeno due criteri di valutazione per poter rispettare le scadenze del 2020, che prevedono la completa eliminazione delle sostanze tossiche”. Ad esempio Adidas, Burberry, Levi’s, Primark e Puma, adottando la lista di sostanze da eliminare proposta dal gruppo Zdhc (Zero Discharge of Hazardous Chemicals), che valuta solo le immissioni di sostanze inquinanti e prevede limiti di tolleranza per alcune sostanze chimiche, continuano a tollerare l’inquinamento prodotto nelle varie fasi di lavorazione. Altri marchi come C&A, Fast Retailing, G-Star, Mango e gli italiani Valentino e Miroglio pur rientrando nella stessa categoria, hanno un punteggio più alto grazie a risultati migliori in termini di eliminazione delle sostanze chimiche e trasparenza delle filiere produttive.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Ecomafie, scendono i guadagni dei clan. Campania maglia nera dei reati. Lombardia prima per corruzione

next
Articolo Successivo

Stabilimenti balneari, il governo impugna la legge toscana: “Invade le competenze statali”. Ma Rossi: “Anni di inerzia”

next