Operazione contro il clan dei Cordaro. Nel corso delle indagini che si sono concluse oggi sono stati ricostruiti i conti, mantenuti con minuziosa pignoleria dai vertici del gruppo
Se non è Gomorra, gli assomiglia tanto. I pusher minorenni, presenti 24 ore su 24, per una piazza di spaccio che non chiude mai. Le vedette, pronte a segnalare l’arrivo dei “laziali” (la Polizia di Stato) o dei “milanisti” (i Carabinieri). E poi i soldi alle famiglie di chi sta in carcere, il riciclaggio attraverso avvocati compiacenti e l’appartamento bunker dove tagliare la cocaina. Tor Bella Monaca, periferia est di Roma, tra i palazzoni cresciuti in fretta, il fiume di droga e l’abbandono ormai insostenibile. Qui comandano i Cordaro, famiglia siciliana arrivata con le migrazioni verso la capitale di tanti decenni fa. Ormai romana, a pieno titolo. L’operazione di questa notte della Polizia di Stato, che ha eseguito 37 ordinanze di custodia cautelare (31 in carcere e 6 ai domiciliari) chieste dal gip di Roma, mostra senza pietà l’emergenza romana. Non solo Mafia Capitale, o quel sistema invadente di tangenti che penetra come una polvere sottile l’intero sistema amministrativo. La capitale continua ad essere la città delle batterie criminali, gruppi che nascono come funghi, che si accordano per non pestarsi i piedi: ci sono affari per tutti.
Come un qualunque gruppo anche i Cordaro hanno una struttura gerarchica definita e oliata. I vertici sono saldamente in mano – secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – a Valentino Iuliano, in grado di comandare anche dal carcere di Rebibbia attraverso l’uso di cellulari clandestini, e Salvatore Cordaro. C’è un secondo livello, racconta il gip nell’ordinanza di custodia cautelare, mantenuto da Silvio Lumicisi, l’uomo di fiducia che coordina le piazze di spaccio. E poi l’esercito, i pusher, le vedette, la manovalanza assoldata tra i “pischelli” di Tor Bella Monaca, in grado di garantire un punto di vendita delle droghe senza interruzione. A Roma la coca non tramonta mai.
Nel corso delle indagini che si sono concluse oggi con gli arresti e le perquisizioni sono stati ricostruiti i conti, mantenuti con minuziosa pignoleria dai vertici del gruppo. Ogni settimana la struttura di spaccio e il mantenimento delle famiglie dei detenuti costa 18.500 euro; di questi quasi tremila euro sono destinati alle ricompense dei pusher e delle vedette. Il mercato del lavoro criminale, nella zona est di Roma, è poi decisamente frizzante. Quando serve un nuovo “pischello” da mettere in strada l’organizzazione ha notevoli difficoltà per reclutare le nuove leve: “Prendono troppo”, spiegano al telefono i membri del clan. Perché a Tor Bella Monaca la criminalità ha penetrato l’intero quartiere, via dopo via, palazzo dopo palazzo.
Il livello superiore si occupava anche del riciclaggio dei soldi, utilizzando l’avvocato romano Alessandro Petrucci, finito anche lui agli arresti in carcere, insieme ad una sua collaboratrice (ai domiciliari). I soldi dei Cordaro avevano preso il volo per la Sardegna, nell’isola della Maddalena, dove, secondo l’accusa, il legale aveva gestito l’acquisto di un bar pizzeria e della locale squadra di calcio Ilva La Maddalena.
La zona est di Roma è anche il teatro dei contrasti tra i gruppi criminali. Tor Bella Monaca e Giadinetti, due zone di spaccio che nel 2013 entrano in conflitto, con una scia di sangue che nella capitale ancora in tanti ricordano. Nel febbraio del 2013 davanti al locale notturno “Alibi” scoppia una sparatoria; quindici giorni dopo un’automobile viene crivellata di colpi mentre viaggia nella periferia romana; il 30 marzo in via Acquaroni, a Tor Bella Monaca, Serafino Maurizio Cordaro veniva assassinato all’interno di un bar: per quell’omicidio sono stati accusati Giuseppe Pandolfo, detto Puccio, e Stefano Crescenzi. In anno dopo a Giardinetti veniva ucciso Edoardo Di Ruzza con quattro colpi in testa.
Tanti episodi che le indagini della Polizia di Stato hanno ricostruito nei dettagli nel corso dell’inchiesta, nati dal contrasto armato tra i Cordaro e il gruppo di Giardinetti Grillà/Crescenzi. Non solo una lotta per il controllo dello spaccio – sostiene il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – ma banali contrasti personali per questioni di gelosia, in una periferia sempre più carica di coca e testosterone. Contrasti armati, tra gruppi che possono disporre di arsenali micidiali, pronti all’uso. Nel 2014 la Polizia di Stato nel corso di una perquisizione in una abitazione in via Santa Rita da Cascia, sempre a Tor Bella Monaca, ha scoperto una vera e propria Santabarbara: un Kalashnikov, fucili a pompa, armi corte e tante munizioni. I custodi – come spesso avviene con le organizzazioni criminali – erano alcuni incensurati, che garantiva, in cambio di soldi e protezione, la disponibilità immediata dei “ferri”. Piccole cifre, appena 150 euro a settimana, che, però, da queste parti possono garantire un minimo di sopravvivenza. E l’amicizia con il clan che conta, con quell’esercito che controlla, metro dopo metro, il quartiere dove vivi.