Alla sbarra a Milano Rocco Schirripa, arrestato oltre trent'anni dopo l'omicidio, avvenuto nel 1982, per il quale finora era stato condannato soltanto il mandante, il boss della 'ndrangheta Domenico Belfiore. I familiari puntano su una pista che porta alla mafia dei casinò, al momento però esclusa dal pm Tatangelo. Nella lista dei testi da sottoporre al giudice anche il presidente dell'Anm, per il suo ruolo investigativo all'epoca
Anche Piercamillo Davigo, attuale presidente dell’Associazione nazionale magistrati, potrebbe essere chiamato a testimoniare nel processo per la morte di Bruno Caccia, Procuratore capo di Torino freddato nel 26 giugno 1983 da killer sconosciuti. Il nuovo processo per l’omicidio, caso unico di magistrato ucciso dalla ‘ndrangheta nel nord Italia, per cui nel 1993 è stato condannato il boss Domenico Belfiore come mandante, irrisolto e inspiegabilmente dimenticato per più di trent’anni, comincia mercoledì 6 luglio, di fronte la Corte d’Assise di Milano. Unico imputato Rocco “Barca” Schirripa, pluripregiudicato calabrese, che la Procura di Milano indica come uno degli esecutori materiali dell’omicidio e che si dichiara estraneo ai fatti. “Finalmente un processo apre la possibilità di scoprire, oltre l’identità dei killer, anche il motivo per cui Caccia è stato ucciso”, sostiene l’avvocato della famiglia Caccia, Fabio Repici.
Non un processo che accerti solamente l’identità di chi ha premuto il grilletto, ma la riapertura del caso, con l’obiettivo di diradare tutte le ombre che ancora lo avvolgono. È la speranza dei familiari. Per questo l’avvocato Repici ha chiesto di sentire ben 78 testimoni, cui si aggiungono i 32 nomi della lista presentata dagli avvocati Mauro Anetrini e Basilio Foti, difensori di Schirripa. Se la Corte dovesse accogliere tutte le loro richieste nell’aula milanese sfilerebbe un pezzo di storia criminale italiana. Dai pentiti della mafia piemontese che negli anni ottanta aiutarono gli inquirenti a disarticolare i gruppi criminali di stanza a Torino, ai mafiosi che non hanno mai voluto collaborare. Da Angelo Epaminonda, il Tebano, il primo pentito di Milano, a Francesco Miano, già capo del clan dei catanesi sotto la Mole, che nel 1984 collaborò con i servizi segreti e registrò in carcere le parole del boss calabrese Domenico Belfiore, firmandone la condanna all’ergastolo come mandante dell’omicidio Caccia. La difesa di Schirripa vorrebbe sentire lo stesso Belfiore, dal 2015 ai domiciliari per motivi di salute.
Per ragioni divergenti, la difesa di Schirripa e della famiglia Caccia cercheranno di smontare la versione ufficiale dei fatti, emersa dal primo processo sull’omicidio. “Chiederemo alla corte un giudizio aperto – dichiara l’avvocato Basilio Foti – ripartendo anche da quello che inavvertitamente è stato tralasciato nel corso della prima inchiesta, chiedendo di fare ricorso alle tecniche investigative che la scienza oggi ha reso possibile, per non fermarsi ad un’accusa, quella mossa nei confronti del mio assistito, che si limita ad una confessione stragiudiziale”.
Sul banco dei testimoni, dunque, non solo gli investigatori che hanno condotto le più recenti indagini, ma anche i protagonisti della prima inchiesta. Dall’allora responsabile del Nucleo operativo dei Carabinieri, Antonio Paradiso, al commissario della Digos Giovanni Silo, agli ufficiali e magistrati che furono coinvolti nella pista d’indagine, poi abbandonata, che conduceva agli affari criminali gravitanti attorno al Casinò di Saint Vincent. Da qui la richiesta di Repici di sentire il killer Demetrio Latella e il capo mafia siciliano Rosario Cattafi, eminenza grigia oggi testimone nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Accanto a questi anche i collaboratori del magistrato Francesco Di Maggio, deceduto, che condusse le indagini sulla morte di Caccia: Olindo Canali, secondo il quale nella casa di Cattafi fu trovata la falsa rivendicazione dell’omicidio del giudice Caccia fatta dalle Br, e Piercamillo Davigo, coassegnatario con Di Maggio dell’istruttoria sulle infiltrazioni mafiose nei Casinò del nord Italia.
“Noi, come difesa, chiameremo a testimoniare i magistrati che lavoravano con Caccia nei mesi che hanno preceduto la sua uccisione, nonché quelli, ancora in vita, che già allora vennero indagati per le loro “relazioni pericolose” con gli ambienti della malavita”, spiega Repici, secondo il quale “ci sono magistrati a Torino e Milano che sanno cosa è avvenuto a monte dell’attentato di Bruno Caccia e durante i depistaggi che lo hanno seguito”. Una rete di silenzi e complicità, interne agli ambienti giudiziari, cui ha fatto recentemente riferimento anche il Procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, durante la commemorazione per la morte Caccia al Palazzo di Giustizia di Torino. Secondo Saluzzo Caccia fu vittima di una “controffensiva” di ambienti criminali nella cui orbita ruotavano, fra l’altro, personaggi che “prosperavano vicino alla procura, con la complicità o la non opposizione di magistrati opachi per non dire di peggio”.
La procura di Milano dal canto suo, ha invece già escluso la plausibilità della pista dei Casinò. Per il pm Marcello Tatangelo “la prospettata ricostruzione ‘alternativa’ dell’omicidio Caccia si ritiene esser priva della benché minima consistenza probatoria”. Perciò nel corso del dibattimento la Procura si concentrerà quasi esclusivamente sulle nuove prove a carico di Schirripa, raccolte con le più moderne tecniche investigative, e su una vecchia indagine, anch’essa archiviata, scaturita dalle dichiarazioni di Vincenzo Pavia, cognato di Domenico Belfiore, che nel 1995 aveva indicato Rocco “Barca” Schirripa come uno dei killer del Procuratore Caccia. Nel giorno dell’arresto di Schirripa, che dopo trent’anni ha rotto il silenzio istituzionale sull’omicidio, il capo della Dda di Milano, Ilda Boccassini, aveva commentato: “Le indagini hanno confermato che i calabresi sono stati mandanti ed esecutori materiali di un omicidio di mafia di questa portata”. Aggiungendo poi che si stavano cercando le prove di un eventuale “beneplacito dell’organizzazione in Calabria”.
Al processo chiederanno di costituirsi parte civile il Ministero di Giustizia e la Regione Piemonte. Anche Libera, associazione antimafia guidata da Luigi Ciotti, sarà presente al Palazzo di Giustizia accanto ai familiari del procuratore ucciso, per “sostenerli nella ricerca della verità”.