Cento anni, tutti i denti e la lingua lunga: ogni mercoledì dal 5 luglio 1916 il settimanale satirico “mostro sacro” della stampa francese “Canard enchaîné” è puntualmente in edicola, otto pagine un po’ ‘vintage’ al prezzo di 1,20 euro. Informazione e satira: questo il binomio che scandisce la sua formula. Ha assunto come simbolo, riportato in due disegni sopra la testata, l’anatra incatenata, poiché il fondatore, il giornalista Maurice Maréchal , intendeva “incatenare” le false notizie – “canard” in gergo giornalistico – della propaganda ufficiale della Grande guerra. Aveva scelto l’arma dell’ironia, dell’umorismo e della derisione, convinto dell’effetto consolatorio ma al tempo stesso vendicativo del ridere: “Dinanzi a un fatto scandaloso, la prima reazione è di indignarmi, e poi di ridere, molto più difficile ma assai più efficace”.
“Dicendo quello che gli altri non dicono”, ancora adesso il “Canard” vola alto, con la sua impronta schietta e sardonica che è il suo marchio di fabbrica. Con le 400.000 copie vendute settimanalmente, gode di ottima salute: il bilancio, reso pubblico ogni anno – caso unico nella stampa d’Oltralpe – , annuncia 2,4 milioni di utili nel 2014. “La pubblicità del ‘Canard’ è di non averne”, quindi niente annunci né tantomeno finanziamenti pubblici.
Antimilitarista e anticlericale, politicamente si configura a sinistra. Il “Canard”, giornale unico al mondo e fra i più vecchi titoli della stampa francese, in una lingua familiare con giochi di parole e disegni umoristici, rivela scandali politici, finanziari e giudiziari, facendo sì che ogni mercoledì vada a ruba nelle edicole. Fedeli al motto “La libertà di stampa si usura quando non la si utilizza”, i giornalisti – proprietari del giornale e “seduti su una montagna d’oro” per loro stessa ammissione -, coltivano la discrezione e lavorano come tutti gli altri, con il computer e il telefono; controtendenza, stanno alla larga dal digitale: “il nostro mestiere consiste nell’informare e distrarre i lettori, con carta da giornale e inchiostro. Ed è sufficiente per tenere impegnata la nostra squadra” spiegano. E per il momento funziona alla grande.
Vantano “fascicoli incontestabili”, riuniti anche grazie a informatori che forniscono le notizie a titolo gratuito. Accusato infinite volte di infangare l’onore dei Presidenti della Repubblica e della stessa Patria francese, il “Canard” turba da sempre il sonno dei potenti. Il “Canard” ha un modo tutto suo, imperturbabile, di prendere le cose dall’altro verso, con ‘occhiatine’ complici al lettore, prudenza e abilità volte a dirottare e gabbare la censura: : “vi è più da leggere in una pagina bianca del ‘Canard’ che in una del ‘Matin’” disse un lettore in piena Grande guerra.
“Anastasia”, definizione in codice della censura – dal Papa Anastasio I che inaugurò la censura cattolica – il giornale l’ha sempre raggirata: nel 1958 il filosofo e scrittore Jean-Paul Sartre aveva redatto un articolo sulla tortura praticata dalle truppe francesi in Algeria. Argomento tabù, ma il “Canard” non si perse d’animo: pubblicò l’articolo, sbarrato con una croce, in carattere minuscoli ma leggibili con una lente e aggiungendovi un “cappello” in apparenza “fustigatore”. Nessuno osò perseguire il giornale e il proconsole ad Algeri a chi gli chiedeva per quale motivo non avesse imposto il sequestro del “Canard” rispose “non intendo passare per un coglione”.
La critica al gaullismo negli anni ’60 segnò il periodo d’oro del giornale: “Cosa dice oggi il palmipede?” era solito chiedere il Generale, il cui “governare da re, credersi Luigi XIV, adottare atteggiamenti maestosi”, ispirò la rubrica “la Cour” che raccontava, in uno stile Grand Siècle, e sul tono della parodia satirica assai irriverente, i fatti e le gesta del principe e dei suoi cortigiani, provocando a volte l’ilarità, sembra, anche dello stesso de Gaulle.
In una stanza della redazione, tra le vignette colorate che affrescano la sede nell’esclusiva parigina rue Saint-Honoré, spicca un grosso buco nel muro che i giornalisti non hanno alcuna intenzione di far riparare. Anzi, sopra quel buco hanno sistemato una lapide che lo trasforma nel monumento alla liberà d’informazione: “con tanti ringraziamenti al ministro dell’Interno Raymond Marcellin” che nel 1973 mandò gli uomini del controspionaggio travestiti da operai ad armeggiare nel tentativo d’installare dei microfoni per tenere sotto controllo la redazione e scoprirne le fonti d’informazione. Dalla vicenda scaturirono una causa – vinta dal giornale – e una tiratura eccezionale di 1milione e 200.000 copie.
Nel 1979 titolò “Quando Giscard intascava i diamanti di Bokassa”, che costò l’elezione per il secondo mandato al Presidente Valery Giscard d’Estaing e due anni dopo dimostrò che il Ministro del bilancio Maurice Papon, all’epoca in cui era prefetto a Bordeaux, aveva organizzato nel 1942 la partenza degli ebrei della zona per i campi di concentramento. Da ultimo, in gennaio ha indagato sulle proprietà immobiliari di Marine Le Pen svelando che sarebbero state dichiarate al fisco per un decimo del loro valore reale.