Difesa pubblica e fronda interna. Che fa male ad Angelino Alfano, ma rischia di fare malissimo a Matteo Renzi. Gli sviluppi dell’inchiesta Labirinto e la presenza nelle intercettazioni (scartate dal gip) dei nomi del fratello e del padre del ministro dell’Interno hanno avuto un effetto: sancire ufficialmente la spaccatura del Nuovo centrodestra. Perché se è vero che dai vertici del partito è scattata la difesa d’ufficio del leader “sotto attacco”, è altrettanto vero che il caso giudiziario ha dato la stura a tutta una serie di tensioni interne. Non è mistero che tra gli esponenti di Ncd ci fosse un gruppo di parlamentari (si parla di 8 tra deputati e senatori) assai propensi a uscire dal governo e tornare nel centrodestra. La novità, invece, è che la mancata (o ritardata) solidarietà del Pd alla presunta campagna mediatica contro Alfano ha provocato una reazione non solo verbale. Due i fronti: da un lato le interviste sui giornali con la richiesta di abbandonare Renzi al suo destino garantendo solo un appoggio esterno al governo; dall’altro la presenza di un paio di esponenti Ncd alla riunione di presentazione del Fronte del No al referendum di ottobre. Per il premier una pessima notizia, per i notisti politici le prove generali del nuovo centrodestra riunito, visto che all’appuntamento erano presenti Fi, Lega, Conservatori, Idea e Gal. Più gli alfaniani Giuseppe Esposito e Antonio Azzollini.
Una pentola a pressione, insomma, che non ha trovato nell’assemblea dei senatori la necessaria valvola di sfogo, visto che ieri è stata rinviata. I capigruppo Renato Schifani e Maurizio Lupi hanno difeso a spada tratta il capo dagli attacchi “barbarici” che lo riguardano, ma la fronda interna è passata dall’insofferenza ai fatti. Giuseppe Esposito e Roberto Formigoni hanno chiesto di uscire dall’esecutivo e di passare all’appoggio esterno. Se così fosse, Renzi rischierebbe di non avere i numeri al Senato, con tutto quello che ne consegue. Non solo. L’addio di Ncd o di una parte di Ncd dall’esecutivo avrebbe risvolti negativi anche sul referendum costituzionale di ottobre. Il sintomo, come detto, è la presenza di Esposito e Azzollini alla presentazione del Fronte del No che racchiude tutto il centrodestra. “Mi hanno invitato – ha detto l’ex sindaco di Molfetta – e sono andato, per ascoltare il merito delle obiezioni alla riforma costituzionale che io in un passaggio parlamentare non ho votato”. Alla domanda se la sua partecipazione fosse anche un segnale in favore del ritorno al centrodestra ‘classico‘, Esposito invece ha replicato: “Non si deve tornare al centrodestra classico, si deve fare un centrodestra nuovo… Problemi che pongo da tempo, non certo ora che Alfano è sotto attacco e al quale va la mia solidarietà assoluta e totale”. Tradotto: difendo Angelino, ma è il momento di mollare Renzi.
Meno estrema nei toni, e tuttavia simile nella sostanza, la posizione di Roberto Formigoni che ha ribadito l’esigenza di passare all’appoggio esterno, senza fornire pretesti, però, a crisi di governo “da irresponsabili”. “Le riforme le abbiamo fatte e il nostro compito è esaurito” ha ribadito. Diverso il dissenso di Maurizio Sacconi, favorevole ad una sorta di governo repubblicano, in uno spirito unitario ma senza nostalgismi verso il Patto del Nazareno. I senatori ‘inquieti’ però dovranno aspettare ancora qualche giorno per avere quel chiarimento che non c’è stato in direzione e che la riunione rinviata del gruppo ha impedito di ottenere. Secondo quanto si è appreso da fonti centriste, la nuova convocazione dell’assemblea sarebbe per la metà della prossima settimana. Sul fronte lealista, invece, il ministro Lorenzin ha spostato l’asticella di una verifica interna la partito a dopo il referendum: “Adesso facciamo il referendum e dopo il referendum ci rincontreremo per fare il tagliando alla nostra missione e decidere che cosa fare” ha detto la titolare della Salute. Il deputato Paolo Alli, invece, ha preferito ragionare sui numeri: “Se andrà via qualcuno, non saranno certo otto. Saranno al massimo due o tre”.