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Olimpiadi Brasile 2016, i media del mondo rompano il silenzio sul massacro degli indios

La rovina del Brasile non è nulla in confronto al massacro in atto nei confronti di numerose etnie indigene dall’Amazzonia fino agli stati del sud. Un genocidio lento e inesorabile che sta passando sotto silenzio. Nessuno, a parte Survival e alcuni attivisti, ne sta parlando. L’informazione interna, controllata dallo Stato in Brasile, non dice una parola. All’estero non trapela quasi nulla. Una vergogna oscena. E l’assurdo è che, al di là della violazione dei diritti umani, gli ignoranti responsabili di tale scempio stanno distruggendo le radici stesse, la cultura ancestrale e il nutrimento spirituale di tutta l’umanità.

Due grandi scienziati, Fritjof Capra e Pier Luigi Luisi, nel loro recente libro divulgativo “Vita e Natura – Una visione sistemica” spiegano a più riprese come le più recenti ricerche dimostrino la natura sistemica e cooperativa della vita. In tale contesto concetti come biodiversità, crescita biologica, diversità etnica e culturale, vita sostenibile assumono un ruolo centrale in una concezione articolata, profonda e articolata di sviluppo dell’umanità e del pianeta. I due autori tirano in ballo in continuazione grandi ricercatori che hanno dato grandi contenuti a questo stile di pensiero, come Ilya Prigogine e Vandana Shiva, ma anche enti strategici come lo Schumacher College nel Devon, Gran Bretagna. In un simile contesto le etnie indigene sono considerate addirittura strategiche per il futuro. E non solo sul piano filosofico e spirituale, ma anche in termini di conoscenza della terra, degli equilibri, delle comunità botaniche e zoologiche.

Discorsi che il governo brasiliano, ben inserito all’interno dell’inetto antico concetto di sviluppo che classifica i paesi come “sviluppati”, “sottosviluppati” e in “via di sviluppo”, stenta non solo a capire, ma anche ad ascoltare. Fantascienza. Qui lo sviluppo sono tanti centri commerciali che vendono cianfrusaglie inutili, punto.

Per mantenere illuminati questi centri e far girare tante auto esiste una sola strada: devastare il pianeta per recuperare disperatamente energia, con coltivazioni esaustive, tipo canna da zucchero, e dighe che distruggono interi paradisi tropicali, purtroppo gli ultimi.

Uno di questi territori è la terra dei Munduruku, un’etnia profondamente legata alla foresta in possesso di conoscenze antichissime. Qui il governo brasiliano intende realizzare la mega diga di São Luiz do Tapajós. Questa diga è la prima delle 43 previste sul fiume Tapajos, avrebbe un bacino di 729 chilometri quadri (circa l’estensione di New York) e sommergerebbe 400 chilometri quadri di foresta pluviale incontaminata, portando inoltre alla deforestazione di un’area di 2.200 chilometri quadri. Qui per info e per firmare la petizione di Greenpeace.

Ma non finisce qui. Gli indios, in tutto il bacino amazzonico e fino agli stati del sud sono vessati in tutto il Brasile. Un esempio, l’azienda Belo Sun alla quale sono stati venduti i diritti per lo sfruttamento dell’oro dello Xingù, un parco culturale indigeno.

Gli indigeni si trovano letteralmente ogni giorno a dover affrontare gli attacchi armati e letali dei ricchi fazenderos, nient’altro che gli stessi corrotti governanti che occupano gli scranni dei governi che dovrebbero difenderli.

In un recente articolo di Survival viene spiegato come per esempio i Guarany, una etnia del sud del Paese, che un tempo viveva su un area di 350.000 kmq oggi è ridotta a sopravvivere in minuscole riserve. Strappati sistematicamente dal loro ambiente hanno raggiunto un tasso di suicidi intollerabile, come sta avvenendo per gli Inuit del Canada.

Io stesso ho affrontato una permanenza nella riserva indigena di Aguas Belas in Pernambuco, presso i Fulni-o. Sono distrutti, sebbene siano gli unici che hanno saputo mantenere costumi spirituali millenari. Sono seriamente minacciati e le “Acque Belle” sono oggi una discarica di rifiuti. Il meraviglioso Rio Ipanema dove si trovavano è seccato definitivamente grazie a un’altra diga, costruita negli anni ’50, la Paulo Alfonso.

In realtà gli indios, come gli indigeni di tutto il mondo, sono una risorsa senza uguali per ricostruire un rapporto con la natura degno di questo nome. Vengono uccisi e deportati senza pietà, sradicati senza ritegno dalle terre che hanno abitato per millenni e che conoscono in profondità nelle piante, nei frutti, negli animali, negli spiriti. Terre che potrebbero contribuire a salvare e che invece sono destinate alla distruzione per arricchire le multinazionali. E che potrebbero anche essere una risorsa formidabile per un turismo culturale di qualità.

Altro che la prostituzione sulle coste del nordest. Il mondo non ha idea di cosa stia succedendo in Amazzonia, poiché i media mainstream non ne parla più. Men che meno i media brasiliani, conniventi con il governo che ha tutto l’interesse a nascondere questo stato di cose che in realtà sarebbe di profondo interesse per tutta l’umanità, visto che l’Amazzonia e la natura, così come la diversità sono di tutti.

La Funai, l’organizzazione che dovrebbe proteggere gli indios, è quantomeno ambigua: gli indios non si fidano affatto, ci sarà un motivo.

Se queste Olimpiadi devono servire a qualcosa è alzare il velo sul vergognoso silenzio del governo e dei media brasiliani.

Gli indios che non si suicidano vengono uccisi, gli altri lentamente si spengono. Alcuni continuano a resistere e a lottare come leoni. Le persone consapevoli dovrebbero prendere coscienza di tutto questo e avere il coraggio di schierarsi dalla loro parte.