"La stampa deve dire tutto, senza disinformazione, calunnia e diffamazione", scandiva Papa Francesco il 30 novembre 2015. Eppure il conduttore di Quarto grado (per il quale l'accusa ha chiesto un anno con la condizionale) e il cronista de L'Espresso (che per il pg vaticano deve essere assolto) sono a processo da 6 mesi pur non essendosi macchiati di nessuno dei tre "peccati" indicati dal pontefice. Ma soltanto per aver fatto il loro mestiere
“La stampa deve dire tutto, senza i suoi tre peccati che sono disinformazione, calunnia e diffamazione“, scandiva placido Papa Francesco il 30 novembre 2015 sull’aereo che lo riportava a Roma dalla Repubblica Centrafricana. Uno dei cronisti presenti gli aveva domandato un giudizio sul processo Vatileaks 2. La prima udienza si era tenuta neanche una settimana prima: il 24 novembre nell’aula del Tribunale vaticano si erano presentati Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, autori dei libri Via Crucis e Avarizia – che hanno sollevato il coperchio sul marcio nascosto nelle finanze vaticane e da cui era scaturita l’inchiesta – insieme a monsignor Angel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio. Il 4 luglio, i promotori di giustizia vaticani hanno chiesto un anno con la condizionale per Nuzzi e l’assoluzione per Fittipaldi. Che evidentemente non possono dire tutto e che sono alla sbarra da 7 mesi senza essersi macchiati di disinformazione, calunnia o diffamazione, ma per il semplice fatto di aver fatto il loro lavoro: i giornalisti.
Al conduttore di Quarto grado e al cronista de L’Espresso i promotori di giustizia vaticani hanno contestato il “concorso morale” nella divulgazione dei documenti, attraverso “l’impulso psicologico” che, attraverso la loro “presenza e disponibilità“, ha “contribuito a rafforzare il proposito della rivelazione delle notizie” nei soggetti che gliele avrebbero fornite. In pratica per l’accusa Nuzzi e Fittipaldi hanno avuto la colpa di essere disponibili a raccogliere le notizie che poi sarebbero confluite nei loro libri di inchiesta. Con la differenza che “la presenza e l’influenza svolte da Fittipaldi non appaiono certe e conclamate”, hanno detto i pm, e per questo, al contrario del collega, per l’autore di Avarizia è stata chiesta l’assoluzione.
Come se da giornalisti si dovessero rifiutare di ricevere quelle informazioni e pubblicare quei documenti. Come se fosse possibile ipotizzare che nessun collega lo avrebbe mai fatto al posto loro. E con la loro posizione definitivamente alleggerita dalla dichiarazioni rese da monsignor Balda il 15 marzo, che quel giorno in aula scagionava completamente i due affermando di non aver ricevuto “minacce dirette e concrete” dai giornalisti per passar loro dei documenti della Santa Sede.
Anche la Federazione Nazionale della Stampa si schiera al fianco dei due cronisti: “Fittipaldi e Nuzzi vanno assolti senza se e senza ma – si legge in una nota firmata dal segretario generale e dal presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti – con l’unica formula possibile: perché il fatto non sussiste. Ogni altra decisione dei giudici della Santa Sede non potrebbe avere diritto di cittadinanza in nessuno Stato che si voglia definire civile“. “I due giornalisti – proseguono – non possono essere condannati per il semplice fatto di aver svolto il loro dovere di informare i cittadini, così come è immorale il ‘concorso morale’ contestato in questa vicenda dai promotori di giustizia vaticani. Per questo ribadiamo: #assolvetenuzziefittipaldi“. Ovvero l’hashtag lanciato da Nuzzi e da Chiarelettere, casa editrice di Via Crucis, che ha visto subito la partecipazione di numerosissimi colleghi, intellettuali e persone comuni ed è velocemente entrato fra le notizie in maggior evidenza su Twitter.
Fuori dal Vaticano all’inizio di aprile la Fnsi, con Articolo 21 e altre associazioni, aveva organizzato un sit-in di protesta con striscioni a favore della libertà di stampa: “Il diritto di cronaca non si processa #nobavaglio“, era la scritta all’entrata del Perugino, la più vicina al tribunale, dalla quale entrano normalmente gli imputati a processo. Con loro ad aprile c’era anche Pippo Civati, leader di Possibile, che oggi scrive “Siamo dalla parte della laicità“.