Società

Emmanuel, se il razzismo sta tornando siamo tutti colpevoli

Adesso cominceranno i distinguo: “Non si può parlare di razzismo vero e proprio… questa è un’altra cosa… la gente è esasperata”. In molti si sperticheranno in quella ricerca di sottigliezze lessicali in forma di attenuanti che però difficilmente compaiono quando ci si rivolge agli altri. Quelli sono tutti “immigrati, clandestini, extracomunitari, negri” e via peggiorando. Politici, istituzioni e media (non tutti, naturalmente) sono molto attenti a sviscerare la questione quando la vittima è straniera e il carnefice nostrano. Il razzismo è una strana malattia, diceva un comico americano, colpisce i bianchi, ma uccide i neri.

Questa volta a essere colpito è stato Emmanuel Chidi Namdi, ucciso da un delinquente con idee razziste, che dopo avere insultato la sua fidanzata, lo ha massacrato di botte. Il primo a suscitare polemica sul caso è stato il signor Giovanardi (“onorevole” è un aggettivo che non si addice a chi anche solo tenta di giustificare questo gesto) che, sì, dice, quello è un balordo, ma che dichiara di non sapere nulla dell’accaduto. D’altra parte è la stessa persona che chiede conto al parlamento dei soldi spesi per recuperare il barcone affondato nel 2015 nel Canale di Sicilia, domandando: “Se il governo si rendesse conto del giudizio che gli stati europei potrebbero dare di questa operazione, nel momento in cui l’Italia giustamente chiede aiuti economici all’Unione europea per far fronte al flusso migratorio”.

La preoccupazione per il giudizio degli altri paesi è senza dubbio più importante di un gesto di umana pietà, che il cattolico Giovanardi forse ignora. Non solo, anche qui c’è il sottile cavillo: non sa il governo che il mare è la tomba dei marinai? Vero, ma quei poveri resti non sono di marinai, ma di gente che viene dal deserto, che in molti casi il mare l’ha visto la prima volta quando si è imbarcato per il suo tragico ultimo viaggio. Il razzismo non è una espressione nuova, affligge il mondo da secoli, ma una delle conquiste della democrazia, quella vera, non solo elettorale, dovrebbe essere l’acquisizione di strumenti per combatterlo, e soprattutto la creazione di una cultura “democratica”, che rispetti le minoranze e i diversi d’ogni sorta. Invece, sempre di più accade che nei parlamenti “democratici” siedano persone che la democrazia non sanno neppure cosa sia oppure lo sanno e la detestano. Il pullulare di movimenti xenofobi, dalla Francia all’Ungheria, dall’Austria all’Olanda, per non parlare dell’Inghilterra, è il segno che in Europa il razzismo sta ritornando. Se nei parlamenti siede gente che inneggia alle ruspe, alle armi ai cittadini, a progrom contro gli stranieri dobbiamo preoccuparci e indignarci.

Perché se non lo facciamo è colpa nostra, di tutti noi. Se non si levano voci autorevoli o meno – e sul piano dei diritti siamo tutti autorevoli – avranno buon gioco coloro che dietro alle loro cariche istituzionali, protetti dalle regole della democrazia che vogliono abbattere o meglio riservare solo a loro, i “bianchi”, istigano alla violenza e creano un clima di odio e di divisione. Tranne poi tirarsi fuori quando accade qualcosa di grave come a Fermo. La bambina di Emmanuel è stata uccisa dai terroristi criminali di Boko Haram, quei fanatici che tutti dovremmo detestare e a cui si equiparano molti dei migranti. Emmanuel è stato ucciso da un italiano di destra, dovremmo essere tutti equiparati a lui? Se non ci facciamo sentire, sì. Un giorno ho chiesto al mio amico Lilian Thuram, campione del mondo di calcio nel 1998 e ore fortemente impegnato con la sua fondazione contro il razzismo: “Secondo te quando fischiano un calciatore nero, dovrebbe uscire dal campo?”. “No, dovrebbero uscire tutti i suoi compagni e gli avversari che sono in campo”. Ecco la risposta giusta.