Ipotesi di slittamento di una settimana per il referendum, revisione possibile per l'Italicum con "spacchettamento" dei quesiti, tenuta del governo dopo la bufera e i mal di pancia di Ncd. Ieri, il faccia a faccia tra premier e Capo dello Stato, ufficialmente per la due giorni di Varsavia ma sul tavolo finisce il destino della legislatura
Il salto del “ponte” che porta al voto il 6 novembre, per evitare la diserzione degli elettori nel weekend di fine ottobre che termina con il giorno della commemorazione dei defunti. L’ipotesi di “spacchettare” i contenuti del referendum per scongiurare un “no” secco, su tutta la linea del governo, che aprirebbe alla crisi e porterebbe al voto con due sistemi elettorali diversi per Camera e Senato, ipotesi sgraditissima al Presidente della Repubblica. E nell’incertezza, un’ipotesi di revisione dell’Italicum che tocchi la rappresentatività e il premio di maggioranza. Questi i nodi dell’incontro di ieri tra Matteo Renzi e Sergio Mattarella, in un faccia a faccia che doveva preparare la partecipazione del premier al vertice Nato di Varsavia, che lo impegnerà fino a domani.
Il summit si è trasformato però in un punto sulla situazione politica italiana, messa in fibrillazione delle ventilate fughe dall’area di governo di un manipolo di senatori Nec. La bufera su Alfano e le intercettazioni che lo vedono coinvolto investe gli equilibri di governo. Ecco, Renzi ha voluto garantire a Mattarella che anche in questa ipotesi il governo ha i numeri al Senato, dove da sempre la maggioranza traballa. Per il ruolo istituzionale che gli è assegnato dalla Costituzione, però, il capo dello Stato, spiegano fonti parlamentari, non potrebbe che cercare in ogni caso di garantire la stabilità politica – soprattutto se il referendum si svolgerà durante la sessione di bilancio – e il prosieguo della legislatura, magari con un governo di scopo. Una diversità ‘strutturale’ di vedute che, riferiscono le stesse fonti, sarebbe stata all’origine di un incontro a tratti teso. La versione ufficiale smentisce e riferisce di rapporti distesi tra Quirinale e Palazzo Chigi.
Dunque, se nei fatti emergesse una maggioranza in grado di uniformare le due leggi, non potrebbe il capo dello Stato non tenerne conto. Legittime, osservano di rimando i renziani, le richieste di cambiare la legge elettorale (come chiede tutta la minoranza e anche un pezzo rilevante di maggioranza Pd) ma un tentativo del genere si scontrerebbe con la mancanza dei numeri in Parlamento per modifiche concordate (nel Pd, Franceschini chiede ad esempio il premio alla coalizione ma la sinistra Dem vuole il collegio alla francese). Allo stesso modo, spiegano le stesse fonti, non ci sarebbero i numeri per un governo alternativo. Dunque, non ci sarebbe altra strada che il voto. Da qui, la linea renziana: andare avanti col referendum e vincerlo ad ogni costo.
Non a caso prende corpo l’ipotesi di spostarlo di una settimana. Il premier era orientato a votare l’ultima domenica di ottobre. Ma poi, consultando il calendario, qualcuno si è accorto che c’è il ponte dei Santi, una tentazione irresistibile per gli astensionisti. Per cui l’orientamento ora è quello di votare la nuova Costituzione il 6 novembre prossimo. I Radicali insistono per uno spacchettamento dei quesiti e Renzi, interpellato in proposito dal Presidente, per la prima volta non ha eretto barricate: “Io preferisco un sì o un no all’intera legge”, ha risposto, “ma se ne può discutere”. Purché serva a riportare il dibattito sui contenuti veri della riforma.