D.i.Re, la rete nazionale dei centri anti-violenza, lancia un appello alle donne per pensare azioni condivise in difesa dei loro diritti e per questo invita tutte a un incontro nazionale a Roma in una assemblea aperta.
Le iniziative demagogiche e di facciata che pretendono di intervenire, ancora una volta, con azioni securitarie contro i femminicidi (come il camper per “stanare” il sommerso del fenomeno) rivelano una inerzia e una coazione a ripetere gli stessi errori di sempre: il ricorso alla denuncia penale viene presentato come facile soluzione contro la violenza alle donne invece di realizzare politiche che restituiscano forza e autonomia alle vittime e diano risposte efficaci per tutelare le loro vite e quelle dei loro figli. Titti Carrano ha dichiarato che su dieci donne uccise, ben sette avevano denunciato. La sottoscritta, tra pochi giorni, sarà testimone in un processo per violenze contro una donna (probabilmente rinviato per l’astensione degli avvocati) per fatti che risalgono almeno a tre anni fa (l’imputato è a piede libero). La giustizia ha tempi, leggi e logiche mirate soprattutto a perseguire chi commette reati e a raggiungere una verità processuale più che a proteggere le vittime. La risposta penale è solo uno degli strumenti che devono essere messi a disposizione delle donne ma non può essere il solo.
Il messaggio sui social network da parte della ministra per le Riforme costituzionali e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, dopo l’uccisione di Sara, è arrivato dopo sollecitazioni da parte del movimento delle donne perché cessasse il suo silenzio sui femminicidi (dopo la delega per le Pari opportunità) ed ha preceduto la notizia della chiusura o della riduzione dei servizi di diversi Centri anti-violenza (Pisa, Napoli, Roma, Palermo) mentre i fondi stanziati dal governo Letta restano bloccati. Tutto questo avviene in assenza di un dialogo e di un confronto con il Dipartimento per le Pari opportunità e con il governo Renzi.
Le attiviste di D.i.Re scrivono nell’appello di avvertire “con assoluta chiarezza la morsa di un attacco subdolo e feroce alla nostra autodeterminazione e all’inviolabilità dei nostri corpi” e criticano “la rappresentazione ufficiale che magnifica la parità raggiunta, le contraddizioni risolte, la presenza nelle istituzioni, la libertà sessuale, la maternità come scelta”. “Invece – si legge ancora nel testo – noi rischiamo la vita e la perdiamo con impressionante frequenza nelle relazioni con uomini violenti, dentro e fuori le nostre case e sperimentiamo la discriminazione nell’accesso e nella permanenza sul mercato del lavoro, l’inferiorità di salari e pensioni, il lavoro di cura iniquamente distribuito, non visto, non valorizzato né riconosciuto”
L’Italia viene nuovamente condannata dal Comitato europeo sui Diritti sociali del Consiglio d’Europa per la mancata applicazione della legge 194. L’8 marzo del 2014 viene accolto il ricorso presentato dall’organizzazione internazionale non governativa International planned parenthood federation european network e dalla Laiga e l’11 aprile scorso viene resa pubblica la decisione del Consiglio d’Europa che ha accolto il ricorso della Cgil sulla mancata a applicazione della legge 194 e sulle difficili condizioni lavorative del personale non obiettore. Nonostante i due richiami della Corte europea, non viene fatto nessun intervento politico per affrontare il problema. Il diritto alla salute delle donne è stato svenduto da compromessi consumati sui loro corpi e il parlamento è inerte perché è più importante salvaguardare alleanze ed equilibri con i gruppi conservatori e cattolici che siedono in parlamento. D.i.Re ribadisce come è stato fatto più volte in passato che “non esiste più la garanzia dell’aborto libero, gratuito e sicuro perché la legge è svuotata, trasgredita in quasi tutto il nostro Paese. Le legge che punisce la violenza sessuale come grave reato contro la persona è troppe volte calpestata nei commissariati e nei tribunali mettendoci sotto accusa al posto degli stupratori e degli assassini”.
E’ in atto una strategia per ridefinire la violenza contro le donne come un problema di tipo patologico o di devianza che rimuove il dato strutturale del fenomeno. “La rappresentazione della violenza affidata a (cosiddetti) esperti, criminologi, avvocati, psicoterapeuti assicura una lettura opposta e neutra, che prescinde dall’analisi femminista, quella stessa che sostiene il metodo dei Centri antiviolenza, nati dal movimento delle donne. Siamo davanti a un tentativo di svalutazione della storia, delle esperienze e delle pratiche del femminismo. Non per caso i Centri sono sempre più in difficoltà, e chiudono in molte città. L’intento, diventato palese con la pubblicazione del Piano nazionale antiviolenza, ora si concretizza con l’azzeramento delle condizioni di sostenibilità. Le misure di questo governo contro la violenza, al di là della finta indignazione per i femminicidi, sono frammentate, scarsamente finanziate e improntate a emergenza, sicurezza, ordine pubblico. In alternativa a questo si mira ad istituzionalizzare i Centri anti-violenza, svuotandoli di senso, azzerandone metodo specifico e dimensione politica”.
La gravità della violenza contro le donne mette a rischio, dichiara D.i.Re “i fondamenti della cittadinanza e dei diritti umani messi in discussione e violati. Mentre lottiamo per noi stesse sappiamo bene che il fronte è grande quanto il mondo: perché con immenso dolore e furente indignazione vediamo le nostre sorelle, donne come noi, con figli come i nostri, che affogano nel Mediterraneo cercando scampo dalla guerra, dalla dittatura, dal fondamentalismo e dal terrorismo. Quelle che arrivano vive, sovente, sono sopravvissute a prigione, torture, stupri, schiavitù sessuale, abusi di ogni genere. Nell’ipotesi migliore trovano centri di accoglienza e di transito invece di case tranquille e di cure, si scontrano con controlli e polizia invece di incontrare l’azione sapiente e familiare di altre donne che saprebbero come aiutare e sostenere“.
E’ arrivato il momento di creare e rafforzare alleanze e prendere nuovi spazi pubblici e politici. E’ arrivato il momento di ascoltare le nostre diverse anime e riconoscerle perché sono una ricchezza. L’appuntamento è a Roma e l’obiettivo è di trovarci nel più breve tempo possibile.
@nadiesdaa