La birra artigianale potrà definirsi tale solo se prodotta a determinate condizioni e da piccoli birrifici. Di fatto si tratta del primo vero riconoscimento nonché di una svolta storica per un settore che, secondo i dati di Coldiretti, negli ultimi 10 anni in Italia è aumentato del 1900 per cento. Un comparto in continua crescita per il quale la legislazione italiana era rimasta indietro rispetto agli altri Paesi europei, non facendo differenze tra microbirrifici e grandi impianti industriali, né sotto il profilo fiscale, né da punto di vista dell’iter burocratico da seguire. Basti pensare che l’indicazione in etichetta era regolamentata da una legge quadro datata 1985 per l’artigianato, che definiva l’impresa in base alle dimensioni, senza tenere considerare la qualità delle materie prime e i metodi di lavorazione. Nei giorni scorsi è stato approvato in Senato, dopo il passaggio alla Camera, il ‘collegato agricolo’ contenuto nel ddl S 1328-B (Disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività per l’agroalimentare). Il testo è passato con gli emendamenti presentati dai deputati del Movimento 5 Stelle Chiara Gagnarli e Filippo Gallinella sull’identikit della birra artigianale e il sostegno allo sviluppo della filiera.
BIRRA ARTIGIANALE: IDENTIKIT ED ETICHETTA – Nuove regole, dunque: dalla definizione alla questione fiscale. Durante l’esame alla Camera è stato infatti introdotto l’articolo 35 che definisce la birra artigianale come quella “prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione”. In pratica si escludono i passaggi industriali che alterano il prodotto. Il testo chiarisce anche la definizione di ‘piccolo birrificio’, che deve essere “legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio”, utilizzare impianti “fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio” e non deve operare “sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui”. Limiti anche sulla produzione annua: i piccoli birrifici non devono superare i 200mila ettolitri all’anno, inclusa le quantità di birra prodotte per conto di terzi. Cambi all’orizzonte anche per l’indicazione in etichetta. Finora la birra dal punto di vista legislativo veniva classificata solo in 5 categorie in base al grado Plato (che misura il contenuto zuccherino del mosto): birra, birra analcolica, light, birra doppio malto e birra speciale. Altri tipi di birra molto diffusi in Italia (come la ‘lager’ o la ‘ale’, ma anche ‘bitter’) non sono state mai prese in considerazione dal legislatore.
COSA C’È ANCORA DA FARE – Il nuovo testo non prevede nuovi criteri sulla provenienza delle materie prime, ma accoglie l’invito a incentivare le produzioni di colture come il luppolo, favorendone lo sviluppo della filiera, avanzato dalla deputata Chiara Gagnarli, vicepresidente della XIII Commissione Agricoltura. Sarebbe stato complicato, infatti, legare la definizione di birra artigianale alla provenienza italiana di tutte le materie prime: la produzione di luppolo non è ancora così alta sul territorio nazionale da soddisfare la domanda di tutti i birrifici. Un nodo sottolineato anche da Giuseppe Collesi, presidente del birrificio marchigiano Tenute Collesi che a gennaio scorso aveva presentato alla Camera una proposta per la denominazione di vendita della birra artigianale. Spetterà al ministero delle Politiche agricole ora “favorire il miglioramento delle condizioni di produzione, trasformazione e commercializzazione” nel settore, compatibilmente con la normativa europea. “Sulla base di questo primo passo – ha dichiarato l’onorevole Gagnarli – continueremo a insistere per far sì che ci sia una semplificazione degli adempimenti attualmente previsti a carico dei produttori”. Il riferimento non è solo allo snellimento delle fasi di accertamento, ma anche alla riduzione dell’accisa “visto il forte svantaggio soprattutto per i piccoli produttori italiani rispetto ai produttori europei che in attuazione di quanto previsto dall’articolo 4 della direttiva europea 92/83/CEE, usufruiscono di un regime agevolato”.
I DATI DEL BOOM – Nel 2004 in Italia si contavano una trentina di piccoli birrifici. Dal 2008 ad oggi si sono moltiplicati in modo esponenziale ed è un settore in continua espansione. Secondo i dati di Coldiretti negli ultimi 10 anni sono aumentati del 1900 per cento. Grazie a un alto livello qualitativo, le birre artigianali si stanno affermando anche all’estero. Secondo i dati di Unionbirrai ci sono 875 microbirrifici sul territorio nazionale e ogni anno si registrano crescite superiori al 20 per cento con una produzione complessiva che nel 2014 ha superato i 450mila ettolitri (il 3% della produzione nazionale). I piccoli birrifici sono guidati per lo più da giovani imprenditori: il settore impiega 1300 persone e produce un indotto di 4mila lavoratori. “Per questo abbiamo chiesto – ha ricordato Filippo Gallinella – insieme all’abolizione dell’Imu agricola per i terreni dati in affitto o in comodato d’uso ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali, la riduzione delle accise a carico dei micro birrifici e la semplificazione degli adempimenti”. Proposte bocciate dal governo, nonostante la normativa europea vada in quella direzione. Il prossimo passo? “Siamo pronti a dare battaglia sin dalla prossima legge di stabilità”.