Ne avevo scritto due anni fa e due anni dopo le ferite sono sempre qui.
Il tempo è scandito da crepe come rughe che fendono il volto all’isola: anni di immobilità di Stato rotta dal crollo di mura sotto il peso dell’abbandono. Pochi chilometri quadrati abitati un tempo da duemila persone, residenti e reclusi, colonia penale che dava lavoro e pena. Quindi Arcipelago Toscano, poi Parco e Pianosa dentro e dentro Pianosa un cimitero civile e dentro le mura quello dei detenuti, ma ciò che muore senza sepoltura è la memoria isolana, alla cui fine, giustamente e con fierezza, non si rassegna l’Associazione per la difesa dell’Isola di Pianosa, che nel periodo estivo, ogni giorno, accoglie 250 paia di infradito come stormi di passo.
Per raccontare la storia di Pianosa, l’Associazione ha allestito una mostra fotografica permanente sull’isola, riuscendo anche a immortalare il nostro amato Stivale, pieno di storia smemorata arginata da quell’Italia di volontari (tutto di tasca loro) che non ci molla.Gli isolati di Pianosa hanno ancora la forza per rimandare la parola fine dei ricordi. “L’isola è fragile“ mi dicono i volontari dell’Associazione e l’Italia della memoria non è certo più forte.
Regione, Provincia, Comune, ministero dell’Ambiente, ministero di Grazia e Giustizia, Conservazione dei Beni culturali, demanio, Parco nazionale Arcipelago Toscano, lo Stato, tutti coinvolti a vario titolo, tutti sanno dove si trova Pianosa, tutti a galla ma nessuno che nuota. E l’Italia della memoria affoga. Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Peppino e Felicia Impastato: vie nel paese deserto evocano speranza, ma tra Pianosa (Italia) e il fare c’è di mezzo il mare.