Samere, berretto da baseball e orecchino, è a Milano da quindici giorni. Viene dall’Eritrea, la sua meta finale è l’Europa del Nord. Ha già provato due volte a varcare il confine con Svizzera e Francia, ma è stato rispedito indietro. Chi è stato identificato in Italia ci deve restare. “Closed, closed!”, spiega incrociando i polsi uno sull’altro. Frontiere chiuse. Il segno distintivo della nuova Europa. E’ per via dei blocchi a Nord che Milano si ritrova alle prese con una nuova emergenza profughi. Sono migliaia quelli che vorrebbero ripartire e rimangono bloccati, come Samere.
E’ quasi mezzanotte quando i volontari finiscono di montare le ultime brandine negli stanzoni del nuovo Hub di via Sammartini 120, dietro alla stazione centrale di Milano. Una distesa di nudi lettini blu occupa ogni centimetro libero. Il dormitorio vero e proprio, settanta letti, è già stracolmo.

video di Francesca Martelli

All’esterno una lunga fila di persone attende impaziente di accaparrarsi un posto. I volontari, esausti, tentano di arginare la folla che preme e di scongiurare litigi. Qualcuno dribbla la coda e viene rispedito in fondo; altri protestano sventolando i bigliettini di riconoscimento che attestano la registrazione al centro e il diritto di accedere alle strutture. Parte qualche spintone. I lampeggianti di un’ambulanza fendono il buio: all’interno dell’hub una giovane eritrea si è sentita male, piange disperata con le mani sul ventre. Forse una colica. Un ragazzino afgano con l’aria smarrita cerca il cugino maggiore, ospite in un altro centro. Dice di avere 15 anni, ne dimostra 11 o 12. Un volontario crea un varco; gli fa cenno: avanti, nel groviglio di uomini e donne del dormitorio. I minori hanno la precedenza.

Ma tanti, tantissimi, dovranno rassegnarsi a dormire all’aperto, sui prati ingialliti che conducono al Naviglio della Martesana, sui marciapiedi a ridosso dei palazzi. Per quanto ogni sera si accatastino sedie e si smontino tavoli per lasciare posto alle brandine, gli spazi sono limitati e più di 300-350 persone non entrano. L’altra notte hanno trovato riparo in 316, oltre 200 sono rimasti fuori. “Incredibile”, scuote la testa l’Assessore agli Affari Sociali Pierfrancesco Majorino, “siamo alla terza estate di emergenza profughi ed è come se non fosse cambiato nulla”. In realtà, il cambio è sostanziale. “La differenza è che l’anno scorso, con le frontiere aperte, l’80 per cento dei migranti ripartiva”, spiega il presidente di Progetto Arca Alberto Sinigallia. “Quest’anno se ne va appena il 20 per cento”. Così i centri per transitanti sono pieni di richiedenti asilo: il 70 per cento, contro il 2 per cento di un anno fa. Cambiano anche provenienza e composizione dei nuovi arrivi. “Lo scorso anno si trattava in maggioranza di siriani in fuga dalla guerra che oggi, dopo la chiusura della rotta balcanica, sono bloccati in Turchia”, precisa Majorino. “Ora arrivano eritrei, sudanesi, somali, etiopi. E non hanno altra alternativa che restare”.

“L’Europa sta facendo un gioco pericoloso per se stessa e per gli altri”, gli fa eco il neo assessore alla Sicurezza Carmela Rozza, mentre percorre i vialetti intorno all’Hub dove bivaccano decine di africani. “Sta implodendo proprio per la sua incapacità di affrontare il problema dell’emigrazione. La chiusura delle frontiere ha trasformato Milano da terra di passaggio in luogo stanziale”. Il 3 luglio la città registrava già 2793 arrivi; solo nella prima settimana del mese sono state assistite in via Sammartini 1150 persone. E i nuovi arrivati negli ultimi due giorni sono circa 500, che rischiano di fare collassare la macchina organizzativa.

La tensione è arrivata ai massimi livelli giovedì sera, quando il Comune ha avvisato i vertici di Progetto Arca, l’associazione che gestisce l’Hub in collaborazione con Avsi e il supporto di Terres des Hommes e Save the Children, che nei centri di accoglienza vi erano un centinaio di posti letto liberi. Un’occasione per trasferirvi parte dei nuovi arrivati. L’orario della cena è stato posticipato a oltranza per consentire agli operatori di Arca di organizzare i trasferimenti. Ma stanchezza e fame hanno alimentato il malumore. E convincere i migranti a spostarsi si è rivelata un’impresa che ha richiesto l’intervento di polizia e Croce Rossa, dopo che una donna africana è finita a terra spintonata da un suo connazionale.

“Il fatto è che queste persone sono spaventate a morte, soprattutto gli eritrei”, spiega Sinigallia. “Fuggono da una dittatura feroce, molte donne hanno subito violenza durante la permanenza in Libia prima di riuscire a raggiungere l’Italia. La vicinanza con la stazione dei treni dà loro sicurezza, rappresenta una via di fuga. Per questo, nonostante la disponibilità dei centri di accoglienza, non vogliono spostarsi”. Quella che agli occhi del quartiere appare forse come una sorta di invasione barbarica, con il corollario di confusione, sporcizia e bivacchi improvvisati, è semplicemente un’umanità dolente bisognosa di protezione. “Non possiamo non farcene carico”, conclude Alberto Proietti, consigliere di Zona 2. “In questa situazione discutere di chiusura delle frontiere risulta patetico”.

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