Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme da usare contro chi non segue la linea del governo, da le riforme non si toccano per nessun motivo al mondo, alle aperture per evitare le sconfitte su tutti i fronti. Il Matteo Renzi del dopo batosta delle elezioni amministrative fa piccoli passi indietro: il vento è cambiato e l’ottimismo sfacciato degli inizi non basta più. “Dice tutto e il contrario di tutto. Fa marcia indietro nel silenzio generale”, ha attacco il capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta. “E’ in preda al panico”, ha rilanciato Loredana De Petris (SI). Da quando ha perso Roma, ma soprattutto Torino, il segretario Pd ha infatti scelto di abbassare i toni, personalizzare meno la campagna referendaria e cercare nuove sponde dentro e fuori il partito. Negli ultimi giorni addirittura Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio nel governo e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenze verso il ministro Angelino Alfano. Dietro le quinte si muove ancora lui, Denis Verdini. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, il pontiere e senatore di Ala che sostiene dall’esterno il governo, ha chiamato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Farlo tornare a sedere al tavolo delle riforme per un nuovo Patto del Nazareno che, questa volta, come osserva il Giornale, avrà al centro i temi economici che stanno più a cuore agli italiani e che possono essere più efficaci da rivendicare in campagna elettorale.
#Italicum questo sconosciuto. Ora fanno a gara nel #Governo a chi vuole cambiarlo. Peccato che imposero la fiducia disprezzando #Parlamento
— Arturo Scotto (@Arturo_Scotto) July 10, 2016
La politica della pre pausa estiva si muove come sempre in ordine sparso, tra retroscena smentiti e mal di pancia più difficili a nascondere. L’Italicum è uno dei nodi cruciali da risolvere. Sono tanti, e anche dentro il Partito democratico (secondo il Corriere 113 deputati su 181), che chiedono di modificare la legge elettorale con il “premio alla coalizione” e non alla lista. “Ci metterebbe tutti d’accordo”, ha commentato il viceministro di Scelta Civica Enrico Zanetti al Corriere. Nelle scorse ore è intervenuto addirittura l’editore de l’Espresso Carlo De Benedetti: ha dichiarato che se non cambierà l’Italicum voterà “no” alla riforma della Costituzione. Renzi in proposito ha un ritornello che ripete ogni volta e che anche ieri ha usato per replicare alle critiche: “Il referendum non è sul modello di legge elettorale”. E quindi non vede perché dovrebbe intervenire di nuovo. Ma c’è un “ma” che torna sempre più spesso: “Sulla legge elettorale non apro più bocca, è un tema nella disponibilità del Parlamento. A me pare di non vedere una maggioranza per un’altra legge elettorale”. Insomma, che i parlamentari prendano l’iniziativa: tra chi teme che il sistema ballottaggio favorisca il Movimento 5 stelle e chi invece si dice preoccupato del combinato disposto con l’abolizione del Senato, in tanti chiedono di intervenire. La lista è lunga, soprattutto tra i dem: c’è la minoranza (da Cuperlo a Speranza), ma anche i pasdaran (con le aperture dei capigruppo Zanda e Rosato per una modifica a patto che sia dopo l’appuntamento di ottobre).
L’altro cedimento di Renzi riguarda il tema che per lui resta più importante: il referendum per le riforme. Fino a qualche settimana fa il presidente del Consiglio andava in giro a rivendicare che in caso di “no” se ne sarebbe andato. Ora, pur restando convinto che l’esito della consultazione sarà decisivo anche per la vita del governo, usa tutt’altro linguaggio. Non può essere più uno scontro “o viva Renzi o abbasso Renzi”: la botta delle amministrative qualcosa ha insegnato ed è che il Pd non naviga in buone acque. Per questo l’ipotesi dei Radicali di spacchettare il referendum in vari sottoquesiti potrebbe da una parte rallentare i tempi e dall’altra evitare lo scontro diretto e quindi far tirare il fiato al governo dando un risultato “a macchia di leopardo”. E’ contraria Forza Italia, sono contrari i parlamentari del Movimento 5 stelle. Renzi dice di preferire un’unica scheda, ma si rimette anche qui alla Cassazione che deciderà anche in base alle richieste: servono le firme del comitati promotori e il limite è solo il 14 luglio prossimo.
Intanto non mancano i problemi dentro la maggioranza. Solo la settimana scorsa alcuni critici del Nuovo centrodestra hanno minacciato di abbandonare il governo. Ci ha provato Roberto Formigoni ad annunciare che “serve un nuovo patto di fine legislatura” e per un attimo il voto di fiducia in programma per martedì 12 luglio è sembrato un pericolo. Il rischio è rientrato neanche il tempo di una telefonata. Quello che resta è un grande scollamento del centrodestra. Renato Schifani è stato visto entrare a casa di Berlusconi, da poco dimesso dall’ospedale. Un segno distensivo e un messaggio: c’è qualcuno che vuole tornare in Forza Italia, a patto che Forza Italia diventi qualcosa di nuovo. Al tavolo per discutere del futuro c’è naturalmente il presidente della Liguria Giovanni Toti, a cui l’ex Cavaliere vuole affidare un ruolo “operativo”. Tutto sotto le continue chiamate di Denis Verdini: il pontiere delle Riforme, il leader di Ala che sostiene da fuori (anche se da molto vicino) il governo, ha in testa di far tornare Berlusconi nei giochi politici di primo piano. E quindi non solo più dall’opposizione. I verdiniani intanto hanno smentito qualsiasi tipo di maldipancia e assicurato di essere compatti, “come sempre” al fianco del governo. Ma l’estate dei retroscena è appena iniziata.