Le voci di Alessandro Baricco e di Valeria Solarino sono immerse in un buio luminoso dal quale emergono i resti dello Stadio di Domiziano, sul Palatino, a Roma. La “Storia di Palamede”, scritta e diretta dallo scrittore, saggista, critico musicale, ma anche conduttore televisivo, sceneggiatore e regista, è il racconto di un eroe della guerra di Troia, ma anche di un inventore, in scena dal 4 al 9 luglio.
Evento del Roma Europa Festival 2016, secondo appuntamento del progetto “Patrimonio storico e creazione contemporanea” con cui la Soprintendenza per l’area archeologica centrale di Roma ha concesso aree monumentali per mostre e altre iniziative legate al contemporaneo. Il pubblico assiste, certo. Ma è come se partecipasse, preso com’è ad ascoltare e a osservare. La scena, ma anche quella struttura antica che sembra quasi avvolgerlo. Più che se fosse conservata per intero. La magia è questa. I resti archeologici non sono un involucro. La rappresentazione e il monumento non sono parti distinte. Le parole di Baricco e, poi, di Solarino sono come note che s’incontrano creando un’armonia.
“Ho visto il posto: magnifico, solenne, vagamente magico. Ora: io, riguardo a posti come quelli ho una mia idea. Sono come enormi e antichissimi strumenti musicali: non bisogna andare a farci il teatro, bisogna suonarli. Che poi vuol dire partire da come sono fatti loro e cercare di farli risuonare con qualche storia, o visione, o magia. Quindi ecco quello che succederà: cercheremo di far suonare quei muri”. Baricco enuncia il suo programma. Ambizioso ma anche coscienziosamente stilato avendo osservato il luogo. Avendolo studiato. Prima e dopo aver calpestato quello spazio straordinario. Nel quale i laterizi con i quali sono stati realizzati i muri, i resti delle colonne e dei capitelli marmorei a terra sembrano assorbire la Storia di Palamede per poi restituirla. Amplificata. Riempita di un significato nuovo. Eccolo il nuovo che non mortifica l’antico. Eccola la chiave per ridare vita all’archeologia.
Un esperimento, “non sarà come andare a teatro … E comunque cercheremo di recitare il meno possibile”, assicurava il poliedrico autore. Obiettivo raggiunto, senz’altro. L’ora di spettacolo vola via. Come un soffio nelle notti romane che qui prendono l’odore dell’erba. La città sembra lontanissima con i suoi rumori e le sue frenesie. Ci si può sorprendere a pensare che Roma sia ancora la città di Domiziano, nella quale va in scena il racconto di uno degli eroi achei che assediarono Troia. Protagonista di quell’evento eppure assente in entrambi i poemi omerici.
Il tempo quasi impazzito, fino a confondere “passato” e “contemporaneo”. Il capolavoro di Baricco è anche questo. Aver costruito una storia per raccontarla in un luogo unico. La sorpresa di molti è l’esito di questa operazione. Essere riuscito ad animare un corpo quasi senza vita. Quello dello Stadio. Averlo fatto senza mortificarne il decoro, come troppo spesso accade. Insomma una valorizzazione, forse inconsapevole, ma pienamente raggiunta. Insomma un incantesimo.