Il numero di dottori che si sono trasferiti è cresciuto di quattro volte nel giro di otto anni. Arrivano tanti chirurghi perché esserlo in Italia è diventato "disincentivante" e "chi è specializzato è in grado di svolgere autonomamente gli interventi”. Le differenze rispetto al nostro Paese? "Qui c’è cura del dettaglio in tutti gli ospedali. Da noi magari c’è un centro d’eccellenza e uno disastroso”
Così vicina, eppure così diversa. Stiamo parlando della Svizzera, che nel giro di pochi anni è diventata una delle mete più ambite dai medici italiani. Come riporta un’indagine dell’Associazione Italiana Medici in collaborazione con la Federazione Medica Svizzera, il numero di dottori che si sono trasferiti è cresciuto di quattro volte nel giro di otto anni. Se nel 2004 i medici italiani erano 155, nel 2012 la cifra è salita a 648 ed è in costante aumento. Tendenza confermata a ilfattoquotidiano.it da Piero Luraschi, responsabile Risorse Umane dell’Ente Ospedaliero Cantonale del Ticino: “Non abbiamo dati precisi, ma possiamo affermare che dieci anni fa il numero di italiani impiegati negli ospedali del Ticino era inferiore al 20% e ora supera il 40%”. Ma perché la Svizzera si è trasformata nella terra promessa della medicina?
“Qui stipendi triplicati per gli specializzandi” – La sanità svizzera fa una distinzione tra assistenti e capiclinica; i primi sono coloro che devono ancora conseguire una specialità, i secondi sono medici già specializzati, che lavorano sotto la loro responsabilità. Il flusso di italiani coinvolge entrambi i profili, ma c’è una categoria che più di ogni altra sente il richiamo delle sirene svizzere: “In questi anni abbiamo notato una forte attrattività nei confronti dei profili chirurgici, perché in Italia fare il chirurgo è diventato disincentivante, il sistema ti espone a troppi rischi”, spiega Walter Mazzucco, presidente nazionale dell’Associazione italiana medici. Anche le modalità di assunzione sono lineari; in genere sono i medici che contattano direttamente il primario del reparto a cui sono interessati: “Nella selezione si dà importanza al livello di formazione del candidato, ma vengono anche tenuti in considerazione stage svolti nella disciplina di destinazione”, sottolinea Piero Luraschi. Poi la parola finale spetta al primario: “Il suo giudizio è determinante per stabilire l’esito del colloquio”, conclude.
Un percorso chiaro, dunque, ma non semplice: “Quasi ogni titolo ottenuto in Italia viene equiparato in Svizzera, ma determinate specialità se sulla carta sono equiparabili, nella pratica non lo sono”, spiega Simone Ghisla, presidente Associazione svizzera medici assistenti. Il problema è che spesso negli anni della specializzazione i medici italiani restano solo a guardare: “Capita che arrivino candidati che hanno operato pochissime volte – ammette -, mentre da noi chi è specializzato è in grado di svolgere autonomamente gli interventi”.
E poi c’è il problema della lingua: “Da poco è stata approvata una legge che obbliga il medico estero a conoscere almeno due lingue nazionali, con un livello B2 certificato”, aggiunge. Ostacoli a parte, la Svizzera ha un gran bisogno di medici: “Ogni anno ne vanno in pensione circa tremila – spiega Ghisla -, e questo vuoto si riempie soprattutto importando medici dall’estero”. Stando ai dati del Segretario italiano giovani medici, il numero di dottori stranieri in Svizzera supera il 40% e il 7% sono italiani. Una volta ottenuto un contratto, l’alto livello professionale e gli ottimi salari ripagano di tutti gli sforzi: “Anche i medici assistenti vengono pagati bene – sottolinea -. Si parte dai 6.400 franchi svizzeri (più di 5.800 euro) del primo anno, per arrivare ai 9.500 (circa 8.600 euro) del sesto anno”.
Niente borse di studio, solo contratti – “Durante gli anni della specializzazione hai un vero e proprio contratto di lavoro, con tutti i tuoi diritti, i congedi per i congressi e un salario che ti permette di avere un tenore di vita agiato”. A parlare è Fabio Garofalo, medico che collabora con l’Associazione italiana giovani medici. 35 anni, una laurea in Medicina a Palermo e la specialità in chirurgia generale conseguita in Svizzera. In questo momento si trova a Montreal in qualità di clinical fellow, ma dal 2017 tornerà a Lugano, dove lo aspetta un posto da capoclinica. “Sono andato via dall’Italia perché avevo voglia di fare chirurgia e di confrontarmi con nuove tecniche”, ricorda. Certo, decidere di conseguire la specialità qui ha le sue problematiche: “In Italia sai quando inizi e quando finisci – spiega Garofalo -, mentre in Svizzera il percorso è a obiettivi e se non li raggiungi non ottieni la specialità”.
Tra le prerogative, infatti, c’è quella di lavorare in più strutture ospedaliere durante gli anni della specializzazione; in questo modo i giovani medici hanno la possibilità di toccare con mano grandi e piccole realtà. Poi, a seconda della specialità che si vuole ottenere, è necessario superare diverse prove ogni anno e, in ambito chirurgico, bisogna anche aver accumulato un numero di operazioni da primo. A differenza del sistema italiano, però, se ti rendi conto di aver sbagliato strada puoi sempre cambiare: “Magari dopo due anni di chirurgia capisci che non fa per te – spiega -, allora puoi cambiare specialità, perché gli obiettivi che hai raggiunto possono essere convalidati anche in altri percorsi”.
I medici: “Lavorare qui? Solo pro. Ma non provate a tornare in Italia” – “In Italia dopo la laurea accedere alla specializzazione è un incubo”. Lo sa bene Arianna Bianchi, 28 anni appena compiuti, nata e cresciuta a Varese, dove ha anche fatto l’università. Quando si è trattato di scegliere tra le lungaggini italiane e le prospettive offerte dalla Svizzera, non ha avuto dubbi: “Da noi circa 60% dei neolaureati è costretto a ripetere il concorso perché non ci sono abbastanza borse di studio – racconta -, inoltre il test è nazionale, quindi puoi essere mandato ovunque, con il rischio di finire in un reparto in cui non impari nulla”. In Svizzera, dove segue la specialità in neuropsichiatria infantile, tutto questo non è contemplato: “Qui sta solo a te dimostrare quanto vali”.
Stesso discorso per Martina Ruspa, 30 anni e una specializzazione da seguire in pediatria. Dopo la laurea e un master a Verona, si è resa conto che non avrebbe potuto mettere a frutto le sue competenze in Italia, così quattro mesi fa ha fatto le valigie per raggiungere l’ospedale di Faido: “Qui ci sono le scuole di specializzazione pediatriche, che ti permettono di formarti a un livello più alto e che sono riconosciute in tutta Europa”, spiega. Per i giovani ci sono tutte le possibilità per imparare al meglio la loro professione: “Qui la formazione è molto pratica – sottolinea – e poi il sistema sanitario svizzero ha più risorse dal punto di vista diagnostico e terapeutico”. E non si resta mai con le mani in mano: “Il medico assistente ha più responsabilità rispetto allo specializzando italiano: è sempre supervisionato dal capoclinica, ma è lui il vero riferimento per il paziente”.
Martina, però, non ha dimenticato il nostro Paese. Anche dalla Svizzera porta avanti il suo impegno con la Commissione Giovani Medici dell’ordine di Varese e un giorno spera di riuscire a tornare: “Non abbandono il sogno di poter vedere in Italia un sistema che abbia al centro il paziente e non l’economia”. Di altro parere è Mattia Bellinzona, nato a Milano 51 anni fa: “Subito dopo la laurea me ne sono andato dall’Italia e, a parte una breve parentesi, non sono più tornato”.
Dopo gli Stati Uniti e la Germania, ora si trova in Svizzera da 4 anni: “Il loro modo di lavorare è simile a quello tedesco, è stato come tornare a casa”, racconta. Ma possibile che non ci siano punti deboli nel sistema sanitario elvetico? “È proprio così, è uno dei migliori sistemi sanitari del mondo – sottolinea -, qui c’è cura del dettaglio in tutti gli ospedali, al contrario dell’Italia dove magari c’è un centro d’eccellenza e uno disastroso”. Perché tutto funzioni, però, serve il massimo impegno: “Da subito puoi fare molte cose – spiega -, ma bisogna tenere a mente che si tratta di un ambiente abbastanza competitivo: se non lavori bene ti mandano via”. Nessun allarmismo però: “Il contratto a tempo indeterminato è relativo, perché se vogliono ti possono licenziare in tronco – ammette -, ma nessuno vive questa condizione con ansia”. Dall’alto della sua esperienza in giro per il mondo, Mattia si sente di dare un consiglio ai neolaureati: “Andatevene subito, perché a mio avviso la situazione italiana è drammatica – spiega -, ma sappiate che se partite non riuscirete più a tornare”.