Un suicidio strano. Sullo sfondo, un’inchiesta che tratteggia i rapporti tra alcuni esponenti del tifo organizzato della Juventus e la ‘ndrangheta. Siamo a Torino, dove gli investigatori sono al lavoro per piazzare al posto giusto i tasselli di un puzzle che con il passare delle ore appare sempre più inquietante, e riannodare il filo rosso che lega un’operazione antimafia e la sorte di due storici capi ultrà.
Per tentare di capire bisogna tornare al pomeriggio di giovedì 7 luglio. Un’auto accosta lungo il viadotto dell’autostrada Torino-Savona. L’uomo alla guida scende. Aspetta qualche istante e poi si lascia cadere nel vuoto. Quell’uomo era Raffaello Bucci, detto Ciccio. Quarantun’anni, originario di San Severo in provincia di Foggia, considerato uno dei nuovi capi del più importante gruppo ultras della Juve, i Drughi. Come spesso accade ai leader delle curve, anche la sua carriera da ultrà aveva compiuto una vertiginosa ascesa: un anno fa la società bianconera lo aveva “promosso” consulente per la sicurezza della biglietteria. Un ruolo non da poco, che gli permetteva di avere sotto controllo la lucrosa gestione dei biglietti e di tenere in equilibrio i delicati rapporti tra curva e società.
E’ una morte strana la sua. Se non altro per la coincidenza temporale che corre nel giro di 24 ore. Ciccio, infatti – ricostruisce Repubblica – soltanto il giorno prima era stato ascoltato dal pm della Dda di Torino Monica Abbatecola come testimone nelle indagini antimafia sul clan torinese dei Dominello, e sui loro interessi legati alla droga, alle estorsioni e ai business in curva: soprattutto il bagarinaggio dei biglietti. Sull’inchiesta c’è il massimo riserbo da parte della Procura guidata da Armando Spataro. Ma lo scorso primo luglio il lavoro dei magistrati ha dato il via a un’operazione che ha portato all’arresto di 18 persone. Tra cui Fabio Germani, pezzo da novanta del tifo organizzato, molto vicino alla società. Ma dalle carte – scrive il quotidiano – spunta anche il nome del direttore generale della Juventus, Beppe Marotta, che non è indagato. Così come non era indagato Ciccio Bucci, sentito solo come persona informata dei fatti.
Apparentemente, dunque, Bucci non aveva nessun motivo di suicidarsi. L’unico fatto grave avvenuto nella sua vita ultimamente è stata la scomparsa della madre alcune settimane fa. Per il resto, l’entourage bianconero che lo conosceva bene racconta che era molto soddisfatto per l’incarico ricevuto dai vertici del club. Allora perché ha deciso di chiudere i conti? Gli investigatori della Squadra mobile sono convinti che la sua morte sia in qualche modo collegata all’inchiesta antimafia. Forse qualcuno lo ha avvicinato per sapere cosa aveva detto ai magistrati. O forse lo ha spinto a farla finita buttandosi da quel viadotto. Per ora solo ipotesi, che gli uomini della Mobile vogliono approfondire ricostruendo i suoi ultimi giorni: telefonate, incontri, confidenze. Mentre la Procura di Cuneo ha aperto un fascicolo e disposto l’autopsia sul cadavere.
Ma il suicidio di Ciccio Bucci non è l’unico fatto strano legato a queste indagini che puntano a fare luce sui presunti business imbastiti tra alcuni esponenti dei gruppi ultras e la criminalità organizzata. Un altro capo del tifo organizzato juventino doveva essere sentito dai magistrati torinesi, anche lui come persona informata sui fatti. Ma Geraldo Mocciola, detto Dino, 52 anni, leader storico dei Drughi, da una settimana non si trova. E’ irreperibile. Ne dà conto la Stampa, precisando che Mocciola attualmente non è ricercato. Di cose da raccontare ne avrebbe molte visto che il suo nome viene spesso fuori dalle carte dell’inchiesta. Ad esempio – racconta il quotidiano torinese – la sera del 20 aprile 2013, è seduto al tavolo di un bar di Montanaro insieme a Rocco e Saverio Dominello, già condannati in primo e secondo grado per associazione di tipo mafioso. Argomento della discussione è l’entrata in curva di un nuovo gruppo, i Gobbi, che ricevono il via libera dai Dominello. Un altro episodio spiega bene quanto i rapporti tra tifo organizzato e presunti ‘ndranghetisti siano ben saldi. Durante il derby del 23 febbraio 2014 – scrive la Stampa – “è proprio Rocco Dominello ad offrirsi da mediatore per provare a scongiurare lo sciopero del tifo, organizzato dallo stesso capo dei Drughi”.
Che la ‘ndrangheta tenti di fare affari allo stadio non è certo una novità. Lo ha già raccontato l’inchiesta San Michele che lo scorso dicembre ha portato a undici condanne. Ma dalle carte dell’ultima operazione sui rapporti tra i Drughi e Dominello emergono nuovi episodi molto significativi. Repubblica scrive che il capo ultrà Germani “ritira dei biglietti alla reception dell’hotel dove la squadra si ritira prima delle partite”. Il destinatario è proprio Rocco Dominello, “che cerca ticket da rivendere per l’incontro Real Madrid-Juve del 23 ottobre 2013″. E’ il dg della Juve Marotta a farglieli recapitare. Non solo. Sì perché gli agenti della Mobile registrano anche un incontro fra i tre. E’ il 15 febbraio 2014. Dominello, Marotta e Germani sono seduti al bar Dezzutto (solitamente frequentato dai dirigenti bianconeri). Dominello chiede a Marotta di organizzare un provino “per un giovane calciatore figlio dell’amico Umberto Bellocco, del clan di Rosarno”, scrive ancora il quotidiano. Ma il ragazzo non verrà ingaggiato dai bianconeri. E’ questo il quadro dalle tinte oscure che i magistrati di Torino stanno tratteggiando. E che forse Ciccio Bucci poteva arricchire con nuove sfumature.