Società

Tuo figlio piange in strada? Occhio alle nonne vigilantes

Chi ha dei figli sa perfettamente che i due anni sono un periodo di grandi lotte, conflitti e prove di forza. Non li chiamano terrible twos per niente.
Il mio terzo figlio, maschio, è nel pieno di questa disputa per il dominio del territorio e la libera circolazione delle sua volontà. Nel giro di poche settimane si è trasformato in un piccolo dittatore riottoso. Niente di nuovo sul fronte educativo, ma allo sforzo di stabilire un equilibrio tra vita famigliare e sociale si aggiunge il confronto con personaggi estranei, in aperto contrasto col nostro metodo pedagogico. I soggetti in questione hanno le sembianze di cattedratiche nonnette pronte a tutto per la tutela dei terribili duenni

In quattro giorni ci sono capitati due episodi interessanti.

Mio marito porta in spiaggia i bambini. Il piccolo parte con la sua performance modello tarantolato. A pochi passi dal one-man show mio marito cerca di convincerlo ad avvicinarsi, ma lui lo ignora continuando a intrattenere i vacanzieri. La signora incartapecorita spaparanzata sotto l’ombrellone prende parte alla commedia.
“Lo prenda su, non vede che piange”. (ma va?)
“Signora, non si preoccupi. Ho cresciuto tre figli”.
“Beh, se li tratta così era meglio che non ne facesse nemmeno uno”.

Quattro giorni dopo l’allegra famiglia tenta la replica in versione full optional: ombrellone, borsa giochi, asciugamani, camioncino di plastica, kit anti-disidratazione. Il piccolo rifiuta di camminare e si rotola a terra strillando, questa volta versione L’esorcista. Signora incartapecorita #2 arriva passeggiando verso di noi. Si ferma per monitorare la scena. Le bastano pochissimi secondi per il verdetto.
”Avrà qualcosa”.
“No, non ha niente”.
“Eh… accontentatelo”.
“E’ un capriccio”.
“I bambini hanno sempre ragione. Lo prenda in braccio”.
“Signora, sta benissimo. E’ una sceneggiata”.
“Ma non si può maltrattare i bambini. Non si può neanche maltrattare gli animali. E’ un re-a-to”.
“Signora lei ha figli?”
“Sì certo. E non hanno mai fatto così.” (sì vabbè)
“Signora, non lo stiamo maltrattando”.
“Ammazzatelo pure allora.” (di fronte alle mie figlie)
Quando capisce che è persona non gradita la signora ci volta finalmente le spalle.

Da quando lasciar piangere un bambino per strada è diventato uguale a farlo piangere?

L’Italia è il secondo paese più vecchio al mondo e il ruolo dei nonni è complementare a quello dei genitori. Le nonne (figure di primissimo piano nella crescita dei nipoti) rappresentano vere e proprie sostitute delle madri. Lo vedo spesso nelle spiagge. I mariti restano in città durante la settimana e le mogli sfuggono il caldo al mare in compagnia di pargoli e nonni. In America le chiamano Helicopter mothers ma da noi la definizione calza meglio alle nonne. Seguono i nipoti alla distanza, criticano le figlie per le loro scelte, intimano di asciugare il bambino dopo ogni tuffo (alla faccia dei trenta gradi all’ombra), curano personalmente la dieta del bambino, mettono bocca su tutto, perdono anni di vita a ogni caduta del bambino. Il risultato è che spesso, quando i mariti si riuniscono con la famiglia, l’indottrinamento precauzionale contro tutti i mali del mondo ha già contagiato le mogli, ipnotizzate dal verbo materno. Nella crescita dei figli si è accomodato sul seggiolone il terzo incomodo e la coppia finisce per risentirne.

Quando i nipoti non sono a tiro di guinzaglio, le megere si sentono legittimate a catechizzare i figli degli altri. Dopo ore di salotti della De Filippi, talk-show e tribune politiche a suon di urla in cui chiunque può dire la qualunque, i lobotomizzati del tubo catodico hanno perso qualsiasi freno inibitore e di pubblica decenza.

Secondo me c’è dell’altro e riguarda più specificamente il figlio maschio.

Molte volte ho sentito genitori pronunciare frasi come “Eh…cosa vuoi, è un maschio!”, giustificando atteggiamenti oltre l’accettabile, sfoghi di violenza e prepotenza che andrebbero scoraggiati fin dai primi anni. In Italia c’è il senso comune che in quanto maschio, un bambino si guadagni geneticamente il diritto di fare il bello e il cattivo tempo.
Come madre di un maschio sento ancora più forte la necessità di rifuggire questa consuetudine, voglio rifiutare questo codice sotterraneo che coinvolge le madri (e i padri) in primis. Sento la pesantissima responsabilità di non vedere trasformarsi l’amore dei miei occhi in un essere prevaricatore e aggressivo. Da giovane uomo dovrà essere capace di avvicinarsi al mondo femminile e sapersi confrontare con gentilezza e riguardo.

Che tipo di uomo diventerà se lascerò correre ogni volta che si comporta da tiranno nei confronti delle persone? Non crederà, a un certo punto, che tutto gli è dovuto?
Ci vorrà molta determinazione, sudore e energia. E pazienza se sulla strada dovrò litigare con qualche vecchia arpia.