Per l’Italia l’obiettivo non è ancora raggiunto. "Noi siamo messi bene sul lato delle cure, che sono garantite - sottolinea Stefano Vella, direttore del Dipartimento del farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità - ma abbiamo ancora un 30% stimato di persone infette che non sanno di avere il virus. Dobbiamo facilitare i test, e fare informazione per far capire che l’Aids è una malattia che c'è ancora, ma si può curare"
Mentre lotta contro l’Hiv non si arresta e la ricerca è in grado di fornire nuovi possibili armi, in Australia le maggiori organizzazioni e gli scienziati hanno decretato la sua fine dell’Aids come problema di salute pubblica affermando che il paese si unisce alle poche nazioni nel mondo che hanno debellato l’epidemia. Il numero di australiani diagnosticati con l’Aids ogni anno è ora così ridotto che i maggiori ricercatori e l’Australian Federation of Aids Organizations (Afao) hanno annunciato che l’era della fatale sindrome è finita. L’ultimo report di Unaids (l’agenzia Onu contro l’Aids) aveva già confermato il trend, con un calo del 42% rispetto al 2004 e indicato nel 2030 l’anno della sconfitta totale del virus, ma c’è chi ci arriverà molto prima.
Il numero di casi si è drasticamente ridotto dall’avvento a metà degli anni 1990 dei farmaci antiretrovirali, che impediscono al di progredire verso l’Aids, quando il sistema immunitario è talmente danneggiato da non poter più combattere l’infezione. Al suo culmine negli anni 1990 morivano di Aids circa 1000 australiani ogni anno. “Abbiamo ora accesso a un trattamento che ha avuto effetti straordinari, mentre l’attivismo nella comunità gay, sin dai primissimi anni dell’Aids negli anni 1980 e 1990, ha contribuito sostanzialmente a combatterlo”, ha detto il direttore dell’Afao, Darryl O’Donnell. I farmaci antiretrovirali sono stati cruciali nel declino dell’epidemia, permettendo alle persone diagnosticate con Hiv una vita sana e lunga, ha aggiunto. “Abbiamo visto una trasformazione drammatica dell’Hiv da una condanna a morte a una malattia cronica gestibile. I soli casi di Aids che incontriamo sono di persone non diagnosticate con Hiv che non possono più essere trattate”.
Resta tuttavia una difficile sfida nella diffusione dell’Hiv, con circa 1200 casi in Australia ogni anno. “Queste sono infezioni evitabili”, ha detto O’Donnell, sottolineando l’importanza dei test, essendo la diagnosi tempestiva, la maniera migliore di combattere il virus. Nel prevenire l’infezione, gli studiosi prevedono che la profilassi pre-esposizione Truvada, una pillola da assumere ogni giorno, possa segnare una svolta paragonabile all’impatto della pillola contraccettiva.
“Sono molto pochi i paesi che, come l’Australia, però possono vantarsi di aver messo sotto controllo l’epidemia di Hiv, per lo più piccoli” dice all’Ansa Stefano Vella, direttore del Dipartimento del farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità. “L’Australia ha raggiunto l’obiettivo indicato dall’Unaids, nei ‘development goals’ per il 2030, cioè diagnosticare almeno il 90% dei sieropositivi, mettere almeno il 90% di questi in cura ed avere quindi un 90% di pazienti in cui il virus è soppresso, che quindi non sono contagiosi – spiega Vella -. Loro ci sono riusciti anche perché avevano un numero di sieropositivi piuttosto basso, ma soprattutto hanno spinto molto sul ‘testing’, e una volta individuati gli infetti li hanno messi subito sotto trattamento grazie al fatto che il loro sistema sanitario è universalistico come il nostro. Sono pochissimi i paesi che ci sono riusciti, quasi tutti paesi piccoli e nel nord Europa, come la Danimarca”.
Per l’Italia l’obiettivo non è ancora raggiunto, spiega Vella. “Noi siamo messi bene sul lato delle cure, che sono garantite – sottolinea – ma abbiamo ancora un 30% stimato di persone infette che non sanno di avere il virus. Dobbiamo facilitare i test, e fare informazione per far capire che l’Aids è una malattia che c’è ancora, ma si può curare”.