Il giudice non ha convalidato il fermo, ma ha disposto la custodia cautelare per il 39enne accusato di omicidio preterintenzionale aggravato dal razzismo. L'avvocato: "Ha confermato di aver insultato la compagna e di essersi difeso". Intanto spunta una seconda testimone. Wu Ming rilancia alcune foto: "Quella volta dell'agricoltore a un gazebo di Casapound"
“Riconosce di avere una responsabilità morale ma non giuridica”. E per questo “mette a disposizione tutto quello che ha a disposizione della vedova”. E’ questa la mossa che Amedeo Mancini, riporta il suo avvocato Francesco De Minicis, ha giocato con il gip che non ha convalidato, ma contestualmente ha disposto la custodia cautelare in carcere. Questa mattina, infatti, al Tribunale di Fermo si è tenuta l’udienza di convalida del fermo nei confronti del 39enne, che è accusato di omicidio preterintenzionale con l’aggravante razzista (leggi) per la morte di Emmanuel Chidi Nnamdi, il profugo nigeriano di 36 anni che ha reagito alle offese dell’ultrà (leggi) nei confronti della moglie, ed è morto per la caduta a terra provocata da un pugno di Mancini (leggi). Non sono state ancora rese note le motivazioni del gip.
Durante l’udienza, durata poco meno di due ore, Mancini ha confermato la sua versione dei fatti. Ha ammesso di aver insultato la compagna di Emmanuel, chiamandola “scimmia africana“, e ha detto di essersi difeso con un pugno quando il giovane nigeriano lo ha aggredito. “Ha anche ribadito di non avere nessuna intenzione di uccidere”, ha spiegato l’avvocato De Minicis ai giornalisti che lo aspettavano fuori dal Tribunale. Il legale ha aggiunto di non aver chiesto formalmente gli arresti domiciliari per il suo assistito. “Ho rimesso al gip la decisione sulla misura che ritiene più opportuna”, ha detto De Minicis. Dopo il faccia a faccia con il giudice per le indagini preliminari Marcello Caporale, Mancini è stato fatto uscire da un ingresso secondario del Tribunale e riaccompagnato, a bordo di un cellulare della Polizia penitenziaria, nel carcere di Marino del Tronto.
De Minicis ha detto che il suo assistito è “provato, molto provato ma nella sua sensibilità mi è sembrato sincerissimo”. Mancini, ha precisato il legale, “non è un allevatore di tori. E’ uno che sta anche lui tra gli ultimi della terra. La responsabilità morale se la sente tutta per questo ha offerto alla vedova tutto quello che ha”, cioè “un terzo di casa colonica che, l’avete vista, non è un palazzo e un pezzetto di terra lasciatagli dal padre”. “Nei primi tempi – ha aggiunto l’avvocato – ho tentato di arginare una pressione mediatica su cose non vere. Ma ora dopo le cose che ha detto ieri don Vinicio, molto belle e molto giuste credo che sia opportuno da parte di tutti un po’ di riserbo”, ha concluso De Minicis riferendosi alle parole che don Vinicio Albanesi ha pronunciato durante il funerale Emmanuel Chidi Nnamdi, che si è celebrato nel Duomo di Fermo tra la commozione di tante persone e le dure parole contro il razzismo da parte dei politici che hanno partecipato (leggi). “Anche l’aggressore è una vittima”, aveva detto. Ora, secondo il legale, “c’è un’inchiesta che stabilirà se e quali responsabilità penali ha Amedeo, se e quanta consapevolezza del disvalore delle sue azioni aveva quando le ha commesse”. E alla domanda se intende chiedere una perizia psichiatrica, ha risposto che “è troppo prematuro”. Quanto
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— Rebeldia (@toxinn67) 11 luglio 2016
Intanto sul fronte delle indagini emergono nuovi elementi. Il Resto del Carlino scrive che c’è un’altra testimone ritenuta credibile dagli inquirenti, la seconda, che ha assistito alla rissa e racconta che Amedeo Mancini è stato aggredito per primo da Emmanuel dopo gli insulti alla moglie. E dice che il richiedente asilo ha usato il paletto di metallo contro l’ultrà, che poi ha rincorso il profugo e ha sferrato il pugno che ha sbattuto a terra il 36enne morto per la caduta. Il quotidiano riporta un passaggio del verbale della donna. “Dopo essere scesa dall’autobus la donna ha udito delle urla provenire dalla via sottostante dove notava parlare animatamente due persone di colore e Mancini. Riferiva che il ragazzo di colore iniziava a spintonare Mancini e, dopo aver preso un segnale stradale mobile, ivi presente, lo colpiva con il medesimo alle gambe, facendolo cadere a terra”. Poi però Emmanuel e sua moglie si allontano. Sembra tutto finito. Invece Mancini lo rincorre “e tra i due iniziava una scazzottata a seguito della quale l’uomo di colore rovinava a terra. Aggiungeva inoltre di aver sentito dire dal ragazzo, che si trovava in compagnia di Mancini, le seguenti parole rivolte all’amico: ‘Lascia perdere, c’è una donna, non reagire, c’è una donna’”.
Una versione che coincide con il racconto di un’altra donna resa al sostituto procuratore di Fermo Francesca Perlini. La testimone ha detto di “aver visto l’intera scena i cui vi erano tre soggetti, due di colore e uno di carnagione bianca, che litigavano animatamente e si scambiavano dei colpi. In particolare descriveva che l’uomo di colore sferrava dei colpi tipo mosse di karate verso l’uomo di carnagione chiara e la donna colpiva quest’ultimo con le proprie scarpe, urlando verso di lui: ‘chi scimmia, chi scimmia?’. Dopodiché notava l’uomo di colore prendere un segnale stradale munito di pedana e zavorra e, dopo averlo sollevato, spingerlo contro l’uomo di carnagione chiara, colpendolo ad una spalla e facendolo cadere a terra. Infine notava che l’uomo di carnagione bianca, colpiva con un pugno quello di colore, facendolo rovinare a terra”. Entrambe le testimoni – scrive il pm – “sono da ritenersi di sicura credibilità, in quanto persone estranee ai fatti”.