Il disimpegno, dopo troppi decenni di sbronza ideologica, non è di per sé un male. Ma esiste, deve esistere, una linea di confine tra il disimpegno consapevole e in un certo senso anche “politico” (è una scelta, è prova di un individualismo spinto che magari non ci piace ma è un dato di fatto) e il mandare il cervello all'ammasso: è troppo tardi, per salvare il salvabile e spiegare ai ragazzini (in un linguaggio adatto ai nostri tempi) che il modello non può essere Greta Menchi?
Per lavoro, e per una sorta di inspiegabile masochismo, mi trovo spesso costretto a seguire sui social network le trascurabilissime vicende di influencer veri o presunti, i loro tweet acchiappa RT, i lunghi e banalissimi post su facebook, scritti appositamente per accalappiare orde di banalissimi citazionisti, gli snap su Snapchat che documentano serate alcoliche, viaggi esotici, soliloqui interessanti come una lezione di astrofisica tenuta da Gegia.
Sul bluff degli influencer ci siamo già espressi, peraltro innescando un interessante dibattito nell’ambiente portato avanti da chi ha voglia di discutere sugli effetti a medio e lungo termine della bolla (i più superficiali si sono limitati a rispondere piccati: “Un influencer ti ha rubato la fidanzata?”). Ma gli influencer non esisterebbero se non ci fosse un vastissimo pubblico che pende dalle loro labbra. Avete mai visto The Walking Dead o Z Nation? Ecco, l’eroe di turno di queste serie, spesso utilizza musichette o comunque diversivi sonori per incantare gli zombie e farli andare dove vuole, in una trappola letale che funziona quasi sempre. È praticamente quello che fanno questi ragazzini senza arte né parte con centinaia di migliaia di bimbiminkia che trascorrono le loro giornate a invidiare il viaggio (ovviamente tutto spesato da un brand o da un’azienda) di questo o quell’influencer, o peggio ancora le stupidissime serate in discoteca immortalate in un breve video quasi sempre mosso e che quasi sempre mostra qualche secondo di idiozia pura: musica infernale e luci strobo, panoramica sugli amici vip o presunti tali che si divertono in pista, qualche strilletto da idioti giusto per far capire alla massa informe di ragazzini wannabe che quella sì che è vita, porca miseria.
Gli influencer alla Greta Menchi, arrogantissima ragazzina che ieri si è resa protagonista di una polemica senza senso alcuno nei confronti di Belen (che alla fine ci costringete sempre a difendere, maledetti!), esistono e prosperano perché c’è chi li idolatra. Una volta si idolatravano le rockstar e gli sportivi, gli scrittori, i leader rivoluzionari e le star di Hollywood. Cosa è successo alle nuove generazioni? Esattamente quando è successo che le icone si sono trasformate in figurine sbrilluccicose tutto fumo e niente arrosto? Ma soprattutto: che generazione sta crescendo? Non dobbiamo e non vogliamo generalizzare, perché di ragazzini pieni di interessi e impegnati in ogni ambito ce ne sono davvero tanti. Ma non possiamo negare che siamo di fronte a un fenomeno di massa, a un graduale e sempre più grave rincoglionimento di quelli che una volta chiamavamo teenager.
Il disimpegno, dopo troppi decenni di sbronza ideologica, non è di per sé un male. Ma esiste, deve esistere, una linea di confine tra il disimpegno consapevole e in un certo senso anche “politico” (è una scelta, è prova di un individualismo spinto che magari non ci piace ma è un dato di fatto) e il mandare il cervello all’ammasso, prendere a randellate volontariamente gli ultimi due o tre neuroni funzionanti e abbandonarsi all’oblio. Per la serie “Beato te che non capisci un cazzo!”, troppi ragazzini credono che questi tempi balordi possono essere vissuti meglio se inconsapevolmente, o almeno si soffre di meno. Anche in questo caso, gli zombie sono una categoria adatta a farci capire lo scenario. In fondo cosa sono, i ragazzini che foraggiano le tante, troppe Greta Menchi che bivaccano sui social network, se non zombie privi di volontà, spinti solo dalla voglia di placare una fame irrazionale? Che sia di notorietà, di denaro, di esperienze, questa fame è comunque ciò che più di ogni altra cosa sta facendo crescere una generazione di idioti (senza generalizzare, ricordiamolo, ma ragionando per grandi numeri, perché l’idiozia dei social è sotto i nostri occhi ogni giorno, h24).
E noi over 30, incapaci forse di leggere e comprendere il fenomeno, ci ritroviamo a fissare migliaia di tweet piagnucolosi con richieste assurde che nemmeno ai Beatles o ai Duran Duran dei tempi d’oro (“Ti prego seguimi, sei la mia vita!”, “Se mi retwitti mi rendi la persona più felice del mondo!”) e soprattutto a chiederci, tra l’incredulo e il rassegnato: “Ma anche noi eravamo così?”. Forse sì, in un certo senso, ma almeno lo eravamo nei confronti di icone pop che rappresentavano comunque qualcosa nel panorama musicale, sportivo, culturale, politico, cinematografico. Cosa rappresenta, esattamente, tale Greta Menchi? Niente di personale contro la ragazza, per carità. Greta Menchi è solo una delle frontwoman di un’orda di buoni a nulla e incapaci di tutto che puntano ambiziosamente a condizionare le mode, i consumi e le tendenze pur senza saper fare nulla (e a volte ci riescono pure).
Bravi loro o scemi quelli che ci cascano? E noi, fossimo cresciuti adesso e non all’epoca di Madonna, Michael Jordan, Michael Jackson e Kurt Cobain, ci saremmo cascati allo stesso modo? Non lo scopriremo mai, e per noi forse un bene. Perché almeno così possiamo illuderci di essere migliori dei giovinastri che stanno crescendo sui social network, che stanno creando, con la loro adorazione acritica, mostri di arroganza, spacconi che ostentano stili di vita da miliardari che non potrebbero permettersi, se non ci fosse un’azienda a pagare per loro.
È troppo tardi, per salvare il salvabile e spiegare ai ragazzini (in un linguaggio adatto ai nostri tempi) che il modello non può essere Greta Menchi, che anche il disimpegno è una cosa seria e non deve consistere in una resa incondizionata al nulla cosmico? Forse sì, forse è troppo tardi, ma vale comunque la pena provarci. Anche a costo di essere considerati tromboni noiosi che non capiscono i “ggggggiovani” d’oggi.