Per Cgil, Cisl, Uil, Failp-Cisal, Confsal e Ugl, sentiti in commissione Trasporti alla Camera, quotare un'altra tranche del gruppo avrà "una connotazione totalmente negativa per il bilancio dello Stato", che rinuncerà ai dividendi. Preoccupazione, poi, per il rischio che la gestione di "dati sensibili" passi a privati. I deputati M5S: "Doppio pacco per lavoratori e cittadini"
Sindacati e deputati M5S contro il collocamento in Borsa di una nuova tranche di Poste italiane, dopo la quotazione andata in porto lo scorso anno. Cgil, Cisl, Uil, Failp-Cisal, Confsal e Ugl, sentiti in commissione Trasporti alla Camera sul secondo decreto di privatizzazione del gruppo, hanno sottolineato che “lo Stato, cedendo le azioni, incorrerà in una perdita secca ed irreparabile non incassando più la cedola annuale versata da Poste”. La dismissione della prima tranche di azioni “ha già significato una perdita di 157 milioni per le casse dello Stato nel 2015 rispetto a quanto incassato nell’anno precedente. Ciò comporta che, a condizioni date, nel brevissimo periodo l’operazione di dismissione delle quote azionarie avrà una connotazione totalmente negativa per il bilancio dello Stato”, hanno aggiunto.
Visto poi che “sono oltre 30 milioni i soggetti (piccole e medie imprese,enti locali, cittadini, pensionati e lavoratori) che hanno un rapporto costante con il Gruppo Poste italiane”, i sindacati hanno anche espresso “la preoccupazione, che confidiamo essere anche del Parlamento, che una tale massa di dati sensibili possa essere gestita da un soggetto totalmente privato”, come potrebbe accadere se Cassa depositi e prestiti decidesse di mettere sul mercato anche il 35% di azioni che il Tesoro le ha ceduto a maggio.
Per quanto riguarda il metodo, poi, “stupisce l’assenza di dibattito pubblico“: “Il processo di privatizzazione è andato avanti senza che nel Paese si sia aperto un reale confronto sul futuro di un’azienda di diritto privato, sino ad ottobre scorso a totale proprietà pubblica, che ha prodotto negli anni consistenti utili”, hanno sottolineato i rappresentanti dei lavoratori, definendo la quotazione “la classica operazione di cassa finalizzata ad abbattere il debito pubblico di insignificanti decimali. Una svendita, per noi, che sta avvenendo nell’indifferenza generale”.
I deputati M5S della commissione, alla luce di quanto detto dai sindacati, parlano di un “doppio pacco del Pd per lavoratori e cittadini” che “provocherà la perdita di ulteriori 500 milioni di euro l’anno”. “Le audizioni di oggi con i sindacati non solo hanno confermato quanto finora da noi denunciato in diversi atti parlamentari ma ci hanno fornito ulteriori dati e informazioni sulle gravi conseguenze, non solo economiche, che avrà il processo di privatizzazione di Poste Italiane – spiegano le parlamentari Mirella Liuzzi e Arianna Spessotto – Tra le novità più allarmanti, quella relativa alla gestione dei dati sensibili, come quelli sui risparmi o sulla concessione di passaporti, che riguardano circa 33 milioni di cittadini e che saranno consegnati nelle mani dei nuovi gestori privati, fondazioni bancarie, anche estere, per lo più americane, cinesi e inglesi”. Non solo: “Nel ‘tesoretto’ di Poste Italiane c’è una rete di 14mila uffici postali disseminati sul territorio italiano, che ora, con la regola del profitto che si sostituirà al diritto del cittadino ad avere un servizio pubblico degno di questo nome, rischiano di chiudere o di veder peggiorare la propria offerta di servizi”.
“Dalle audizioni è inoltre emerso”, scrivono i pentastellati, “che nel piano d’impresa l’amministratore delegato, Caio, ha omesso di citare i 20mila licenziamenti, parlando invece di 8mila nuove assunzioni che poi si sono ridotte a meno di 500. Un paradosso se confrontato con le ‘consulenze d’oro’ a dirigenti esterni, per circa 500-600mila euro annui a testa, o con i 5 milioni di euro l’anno pagati per essere associati a Confindustria senza capire quale vantaggio ne abbiano lavoratori e servizio pubblico”.