Una proposta di legge (pdl) destinata a far discutere. E che potrebbe creare tensioni tra le diverse forze politiche rappresentate in Parlamento, anche tra quelle della stessa maggioranza, quando la discussione entrerà nel vivo. Un’eventualità che, tuttavia, non ha fermato il dem Gian Piero Scanu, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti dell’uranio impoverito. Che alla Camera, insieme ad uno dei consulenti di punta della commissione stessa, l’ex magistrato Raffaele Guariniello, e Domenico Leggiero dell’Osservatorio militare, tra i primi a denunciare i casi di contaminazione dei soldati italiani impegnati nelle missioni nei Balcani degli anni Novanta, ha presentato la sua pdl.
CI PENSA L’INAIL – Ma cosa prevede il testo? Il punto qualificante del nuovo impianto normativo riguarda essenzialmente la competenza degli accertamenti delle cause di servizio. Mentre oggi è tutto demandato ai Comitati di verifica composti da militari, cui spetta il compito di accertare il nesso di causalità tra l’esposizione all’uranio impoverito e la malattia contratta dal militare, se la proposta di legge Scanu venisse approvata, la competenza sarebbe esternalizzata e affidata all’Inail. “Una proposta di buon senso che mi auguro venga tramutata al più presto in legge – commenta Domenico Leggiero –. L’obiettivo è quello di impedire ogni conflitto di interessi in sede di valutazione delle cause di servizio. Un tema centrale perché, purtroppo, seguendo da sempre le vicende dei nostri soldati contaminati in missione, non nego che la sensazione che i vertici militari abbiano tenuto nascosto qualcosa a quelli politici sia diventata, con il passare degli anni, sempre più forte”.
SENTENZA STORICA – La pdl Scanu segue di qualche settimana l’ultima sentenza (“storica” secondo lo stesso Leggiero) della Corte d’appello di Roma. Che nel maggio scorso ha condannato il ministero della Difesa a risarcire i familiari di un sottufficiale stroncato nel 1999, a soli 23 anni, da una leucemia causata proprio dall’esposizione a polveri di uranio impoverito durante la missione italiana in Bosnia. Un risarcimento record: circa un milione e mezzo di euro, comprensivi, oltre che delle somme riconosciute ai genitori e alla sorella del militare scomparso, anche degli interessi (circa 670 mila euro) e delle spese. Una pronuncia che contiene anche una durissima censura nei confronti dei vertici militari del dicastero di Via XX Settembre. Tra il 1998 e il 1999, Vacca aveva prestato servizio sui mezzi blindati addetti al trasporto di munizioni sequestrate. Materiale “ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche”, hanno scritto i magistrati nella sentenza. Rischi, però, “totalmente non valutati e non ottemperati dal comando militare”. A carico del quale i giudici hanno ravvisato una condotta omissiva che “configura una violazione di natura colposa delle prescrizioni imposte non solo dalla legge e dai regolamenti, ma anche dalle regole di comune prudenza”.
RISCHI IGNORATI – La Corte d’appello ha inoltre accertato la sussistenza di un nesso di causalità tra la malattia contratta dal militare (leucemia) e l’esposizione ad agenti tossici durante il servizio prestato in Bosnia. “In sostanza, è stato confermato che il ministero della Difesa era consapevole dei rischi ai quali i nostri soldati in missione nei Balcani erano esposti”, conclude Leggiero commentando la sentenza.